Branciaroli è Medea: "È una tragedia non solo femminista"

L'attore mette in scena la versione maschile di Ronconi: «Nulla di attuale in questo mito»

Branciaroli è Medea: "È una tragedia non solo femminista"

«Oggi il teatro non c'è più. Si vedono esibizioncine di persone sedute sui divani, con il microfono in bocca. Le cose belle sui palcoscenici sono quattro o cinque a stagione».

Come al solito, Franco Branciaroli, dall'alto dei suoi 70 anni, di cui moltissimi passati a calcare scene, non le manda a dire. La sua delusione per il teatro odierno, asfittico diorama di passioni spente, è nota. Ed è bilanciata dall'amore per i testi classici, storie sempre narrate che partono dai primordi della civiltà. Vicende impastate nel sangue, nella vendetta, nell'odio. Come Medea, il mito che Euripide diede alle scene nel 431 avanti Cristo e che ha avuto, e avrà, migliaia di incarnazioni teatrali (per non parlare del cinema, basti pensare al trattamento di Pasolini).

Ora Medea, interpretata da Branciaroli, nella regia firmata vent'anni fa da Luca Ronconi, arriva al Piccolo Teatro Strehler dal 13 al 29 marzo. «È lo stesso spettacolo del 1996. La regia di Ronconi è ripresa da Daniele Salvo, io sono sempre io, con 22 anni in più», dice Branciaroli. «Lo so, sembra strano che un uomo faccia Medea, mettendosi una parrucca in testa, mascherandosi. Ma non c'è nulla di clamoroso. In teatro, fino al XVII secolo e anche dopo, le donne non potevano recitare. Gli spettatori di Euripide, ad Atene, restavano atterriti da una Medea cui dava vita un uomo».

Branciaroli contribuì, con suoi propri finanziamenti, allo spettacolo ronconiano. «Dal quale si evince - sostiene l'uomo di teatro, variamente invidiato e dardeggiato di critiche - che Medea tutto è tranne la femminista vendicatrice delle donne tradite e umiliate. Una lettura simile è non solo riduttiva, ma sbagliata. Medea è una straniera culturale, che dalla Colchide barbarica piomba in una civiltà diversa, quella greca. Davanti al pubblico che ascolta la sua storia, diramata dal mito degli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro, porta qualcosa di estremamente pericoloso. Euripide non scrisse un dramma di corna, come potrebbe sembrare la vicenda di una donna che si vendica del marito, il traditore Giasone, arrivando ad uccidere i propri figli. Una tragedia che viene compiuta anche in sacrificio agli dèi, per evitare la punizione dovuta a una donna che ha tradito la sua gente. Medea, oltretutto, non è umana, è la nipote del Sole: la sua vicenda segnata da morti violente ne fa una nemica. Non ha nulla di attuale, questo mito, e non lo avrà mai, per nostra fortuna, a dispetto delle superficiali letture di stampo femminista».

Se serve riportare in scena Medea, che almeno sia interpretata da un uomo, sembra dire Branciaroli, così da evitare distorsioni perniciose nell'indagine di un mito millenario, precedente a Euripide e alla compiutezza della

Grecia classica.

Medea «dallo sguardo di toro» è la forza distruttrice della ferocia, e questo (era anche l'opinione di Ronconi) arrivava al pubblico ateniese: il disvelamento di un potere mostruoso. Come succederà al Piccolo.

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