Cronaca locale

Brera rende omaggio a Fabro resuscitò la Casa degli artisti

«Nemo propheta in patria», recita un antico adagio latino. Per quanto riguarda l'arte del Dopoguerra a Milano, è un detto che ben si confà a due autori tra i più rappresentativi a livello internazionale: Luciano Fabro e Piero Manzoni. A entrambi (ma potrebbe far loro compagnia anche Lucio Fontana) da tempo immemorabile la città non dedica una degna antologica, nonostante musei e gallerie di tutto il mondo - da Napoli a New York - celebrino fastosamente la poetica dei maggiori esponenti italiano dell'arte concettuale che proprio a Milano hanno segnato le loro tappe fondamentali.
In attesa che si aprano le porte di Palazzo Reale (collezionisti e gallerie farebbero la coda per i prestiti), ci pensa l'Accademia di Brera a ricordare la figura di Fabro, uno degli esponenti più rappresentativi del movimento dell'Arte Povera, morto nella nostra città nel giugno di sei anni fa. Proprio a Brera, del resto, lo scultore e scrittore torinese prestò servizio a partire dal 1983 come docente e con gli studenti si adoperò alla ricerca di una continua ridefinizione dell'arte. E a Brera, nella Sala Napoleonica, si celebra da oggi una mostra-evento che ricostruisce con l'aiuto degli studenti delle scuole di scultura l'Habitat di Aachen (1983), opera monumentale che definisce uno spazio abitabile, fisicamente e concettualmente. Si tratta di un'opera fortemente rappresentativa di un artista che sul concetto di spazio e di «habitat» ha fondato gran parte della sua ricerca, distinguendosi dai compagni di strada del gruppo torinese, come Michelangelo Pistoletto e Mario Merz. Una ricerca sviluppata attraverso installazioni realizzate negli anni Ottanta, dopo il periodo in cui al centro dell'opera erano soprattutto i materiali: come lo specchio (Il buco, 1963), il vetro (Piede di vetro, 1968-72), il marmo e il bronzo (Attaccapanni, 1977; Io, 1978) e altri metalli, quali l'alluminio e il ferro (Computer, 1990). I cosiddetti «Habitat» furono invece installazioni ambientali in cui l'artista poneva al centro la propria idea di «città ideale», portando alle estreme conseguenze la ricerca sullo spazio come campo d'azione vivo.
Proprio Milano, a Brera, fu la piattaforma dove Fabro sviluppò la sua ricerca sullo spazio nel periodo in cui, al fianco di Con Hidetoshi Nagasawa e Jole de Sanna iniziò (era il 1978) un lavoro didattico e di teoria dell'arte nella Casa degli Artisti di Milano; esperienza da cui nacque il volume Regole d'arte (Milano 1980) e la decisione d'intraprendere la carriera accademica. Da allora i suoi grandi Habitat hanno affollato musei di tutta Europa, anche se il primo venne allestito nel 1980 proprio a Milano nella mostra curata al PAC da Germano Celant. L'evento che inaugura oggi (fino al 20 luglio) è il primo di un ciclo di mostre organizzato nella Sala Napoleonica dall'Accademia diretta da Franco Marrocco. Un omaggio doveroso verso un artista internazionale che ha dato molto alla città di Milano, in particolare nel periodo in cui, dopo il 1978, si sforzò di ridare vita alla «Casa degli artisti» di corso Garibaldi a Milano, che ospitò gli atelier e le opere delle nuove generazioni uscite da Brera.


Questo luogo storico - progettato nel 1909 con lo scopo di dare spazio all'arte e alla cultura libera non legata al mercato - venne tristemente sgomberato e demolito nell'ottobre del 2007, a pochi mesi dalla morte di colui che vi dedicò quasi 30 anni di lavoro.

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