Campane in festa e folla per Paolo VI

In 25mila sono passati davanti al maxischermo mentre i rintocchi risuonavano in tutta la città

Campane in festa e folla per Paolo VI

Il giubilo dello strumento musicale più antico e popolare della Chiesa, le campane, e la visione della cerimonia attraverso gli strumenti teconologici più avanzati. La beatificazione di Paolo VI in piazza San Pietro ha messo d'accordo questi due opposti poli di richiamo dei fedeli milanesi, in preghiera per tutta l'altra notte. Milano si è svegliata ieri con il concerto dei campanili in festa, mentre per la prima volta in galleria Vittorio Emanuele II la messa è stata diffusa su quattro maxi schermo, collocati sui ponteggi allestiti per il restauro; uno di essi era all'aperto e ha trasmesso in Ultra HD, definito anche 4K,sistema televisivo ad alta definizione. Gli schermi hanno consentito di seguire la cerimonia a 25 mila persone. L'allestimento mediatico è stato voluto dall'Arcidiocesi, il Comune, il centro telivisivo Vaticano in collaborazione con Officina della comunicazione e la Sony.

Quando in San Pietro, ore 10.48, è stato scoperto il ritratto dell'ex arcivescovo di Milano, il momento è stato salutato con applausi di gioia dalla folla di milanesi e lombardi presenti in galleria, insieme ai turisti che si sono fermati incuriositi. Uomini, donne, bambini, ciclisti con la bicicletta in mano erano incollati con il naso all'insù ai «video». Milano e l'intera regione erano presenti a Roma con il presidente della Lombardia Roberto Maroni, il vicesindaco Alda Lucia De Cesaris con il gonfalone della città e oltre tre mila ambrosiani guidati dall'arcivescovo Angelo Scola.

Innovativo e discreto, Paolo VI ha impresso ieri una traccia inedita su questa capitale lombarda definita sempre morale, ma di fatto vera capitale quando si parla di giornalismo. Figlio di un giornalista e politico bresciano, l'arcivescovo che guidò la nostra diocesi dal 1954 al 1963, ha portato un nuovo modo di comunicare. «Non abbiamo scelto il Duomo, quale location per gli schermi ma un luogo più pubblico - ha spiegato monsignor Mario Delpini - proprio perché Palo VI fu sempre proteso a comunicare con tutti». Milano fu una parentesi improvvisa per il sacerdote che approdò presto in Vaticano, tanto che il suo arrivo in questa città fu visto da molti come un esilio in quegli anni. Solo il filosofo Jean Guitton s'accorse che gli anni milanesi di Montini furono una prova fondamentale per forgiare la forza del suo carattere e soprattutto la facoltà poliedrica di dialogare, in anni in cui stava per esplodere il fenomeno dell'ateismo, portato dalla difusione del pensiero marxista tra il popolo.

Qualche fedele ha ricordato come, incurante del pericolo terroristico, in embrione ma già all'erta, papa Montini visitasse con coraggio le scuole milanesi, e che volle una scuola in città, proprio il Collegio Paolo VI, progettato da Giò Ponti. Fu un pontefice molto attento alla cultura, tanto da essere amato più da teologi e sacerdoti che dalla gente, gente che però lo ha tenuto nel cuore in modo molto più riservato e meno eclattante di altri papi, ma non dimenticandolo mai anche grazie alla sua figura elegante e ferma.

«Nulla è perduto con la pace;

tutto è perduto con la guerra», una delle sue frasi più celebri, che appare in una contemporaneità sconcetante visti i tempi violenti che stiamo vivendo, tempi in cui la guerra ormai pare entrata nel cuore di ogni persona.

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