(...), ma non reintegrato e oggi fa il comandante dei vigili a Varese e scrive libri.
La poltrona di piazza Beccaria, come si vede, non è priva di rischi. È un lavoro vasto e complesso, esposto a mille problemi e cento tentazioni, e per navigare tra i flussi senza sbattere sugli scogli ci vogliono accortezza e dirittura. E non è un caso che nel parapiglia seguito all'indagine che ha lambito Barbato e nella necessità di trovare in fretta un successore, sia saltato fuori il nome del vicequestore Marco Ciacci, capo del commissariato Mecenate. Detta così, al milanese ignaro, la cosa può avere destato qualche perplessità: troppo brusco il salto da un commissariato di periferia con poche decine di poliziotti alla carica più importante della sicurezza locale a Milano, alla testa di un esercito di tremiladuecento uomini?
In realtà la scelta è tutt'altro che bizzarra, ma per capirla bisogna fare un passo indietro di qualche mese, tornando alla vita precedente di Ciacci. Quando, prima di finire in via Mecenate, dirigeva la sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica. Un ufficio di delicatezza estrema che Ciacci aveva potuto reggere per anni solo grazie alla fiducia incondizionata che riponevano in lui i vertici della Procura, da Edmondo Bruti Liberati, al suo successore Francesco Greco, a Ilda Boccassini. Per le indagini più delicate, a partire dal caso Ruby, i pm sapevano di avere in Ciacci un investigatore efficiente e discreto. E avevano in lui anche l'uomo giusto per le missioni più spinose: nel 2012, per esempio, fu proprio Ciacci a dover venire nella redazione del Giornale ad arrestare il direttore Alessandro Sallusti e a riarrestarlo per evasione poche ore dopo.
È stata la Procura a indicare ora Ciacci al sindaco Sala come l'uomo giusto per prendere le redini della polizia locale? Nello staff del sindaco, a questa domanda si risponde che il nome di Ciacci è stato fatto «dall'interno» della macchina comunale, ha riscosso vari pareri favorevoli e alla fine ha avuto la benedizione del capo della polizia Franco Gabrielli. Ma in ogni caso è ovvio che la scelta non è destinata a risultare sgradita a Palazzo di giustizia e che a settembre - quando, sbrigate le formalità per l'aspettativa, si insedierà nella carica - Ciacci avrà dalla sua un rapporto preferenziale con la magistratura milanese.
Non è il primo «sbirro» a vestire la divisa da capo dei vigili: prima di lui era toccato a Stefano Rea, capo della Digos, scelto con un concorso ad hoc dal sindaco Paolo Pillitteri grazie alle consulenze del suo amico Antonio Di Pietro e finito anche lui travolto dai guai giudiziari; e poi ad Antonio Chirivì, carabiniere, uomo di ben altra tempra che alla fine dovette arrendersi solo alle prepotenze dei sindacati che non digerivano la sua linea «voglio i vigili in strada e non al bar».
Ma Ciacci sarà il primo capo dei «ghisa» ad avere un filo
diretto con la Procura, a darsi del tu con i suoi esponenti più esperti: un dettaglio cruciale per una struttura che si occupa sempre più di sicurezza e di polizia giudiziaria e sempre meno di divieti di sosta.Luca Fazzo
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