"La cassoeula del papà, altro che sushi e tandoori"

Il direttore di "Chi" racconta il suo mangiare: "Fuggo dai locali fighetti e amo le trattorie"

"La cassoeula del papà, altro che sushi e tandoori"

Alfonso Signorini, direttore del settimanale Chi, opinionista televisivo tanto elegante quanto pungente, si distrae qualche momento dalle vicissitudini delle star e si racconta a tavola.

Direttore qual'è il suo rapporto con il cibo?

«È un rapporto gioioso con uno dei piaceri della vita, anche se il cotè negativo è che poi si fatica a smaltire e quindi corro e mi mantengo in forma, così posso mangiare di più. Un rapporto anche goloso, associo al cibo il momento più sereno della giornata perché intorno a esso ruotano la compagnia, la convivialità, le amicizie».

Il sapore dell'infanzia?

«Mio papà Ivano in cucina ci sapeva fare. Era impiegato, non un cuoco, ma il profumo della cassoeula lo sentivo dalla mia cameretta già alle sei del mattino. I miei si alzavano all'alba per prepararla con tutti i crismi. Un tormentone puntuale come le tasse. La verza giusta doveva essere brinata per essere prima scottata insieme alla carne di maiale con il cognac e poi si bolliva sin dall'alba. La mangiavamo rigorosamente due giorni dopo. Un rito, come la stagione dei funghi, i chiodini che cercavamo sui canali del lodigiano».

E poi?

«E poi la carne in gelatina della mamma. Sapori che mi sono portato dietro fin da piccolo e che sopravvivono dentro di me».

E com'è il direttore Signorini al ristorante?

«Fuggo dai locali fighettini e dalle stelle, amo i luoghi più nascosti, le vecchie trattorie della bassa in provincia di Piacenza, di Lodi, nel parmigiano. Vecchi tavoloni con le tovaglie di fiandra a quadretti, quello mi fa star bene. Non amo e non seguo le mode gastronomiche. Sono carnivoro e felice di esserlo».

Il profumo che ama in cucina?

«Amo i sapori forti, sono uno da aglio e cipolla in tutte le salse. La mia tata è calabrese e mi cucina cime di rapa piccanti. Amo la cucina del sud, le pepate, la carne speziata».

Ai fornelli o a tavola?

«Mi piace cucinare per le persone cui voglio bene, è un segno di affetto, una festa. Il mio piatto forte è il risotto allo Champagne. Che però deve essere davvero Champagne, con il Prosecco non viene altrettanto bene. Ho le mie procedure: soffritto con la noce moscata una o due bicchierate di Champagne, poi cottura lenta con il brodo e infine lo faccio gratinare in forno».

Chissà quanti amici alla sua tavola.

«Ho una lista di prenotazioni. A Cortina dove ho casa, ritrovo sapori che conosco e apprezzo. Ho cucinato per capodanno lo speck in crosta di pane, insaporito con il timo. Passione presa da nonna e mamma».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«Sono per i primi, per i piatti salati: pasta, pizza, focaccia. Ho passato un periodo senza carboidrati per dieta e adesso mi rifaccio. Per fortuna non amo i dolci».

Il pane?

«Il pane lo fa Pina, la mia tata che sta cercando marito. Anzi lancio un appello: è ancora una bella donna e vuole qualcuno che la porti al cinema. È con me da dieci anni e piaceva anche a mia mamma che è un requisito fondamentale».

Il pranzo o la cena che non dimenticherai mai?

«Non dimenticherò mai i pranzi a casa dei miei genitori tutte le domeniche. Nel passato, parlo di venticinque anni fa, dovunque fossi, la domenica andavo a Cormano a casa loro. Vivevano per quell'occasione. Darei la vita per riprovare quei sapori, sentire ancora i loro rimproveri, il profumo del caffè fatto con la moka che bevo ancora per ricordarli».

E quindi?

«I mie pranzi più belli sono sempre quelli fatti di poche cose. Mia mamma, patita della gallina la cucinava in tutte le varianti. Era un bel ritrovarsi. Lei comprava il pane che mi piaceva e il vino arrivava dal Gazzotti, fornitore dell'Oltrepò pavese».

Il vino cosa stimola in lei?

«Il vino è un procacciatore di sana allegria. A cena non mi manca mai, sia da solo che in compagnia. A livello emotivo mi mette in bella disposizione d'animo con i bouquet che ogni vitigno porta con sé, dai frutti di bosco alla nocciola. Mi piace associare i vini ai periodi dell'anno. Un legame con la natura che oggi si fa fatica a trovare».

Bianco, rosso o bollicine?

«Le mie bollicine sono Ca del Bosco Millesimato di Zanella, mio amico, vuole sempre propormi altro ma sono affezionato a quello. Se diciamo Champagne allora Ruinart Rosè ,il mio preferito. E poi i rossi strutturati come Amarone o Negramaro, un Barolo con il brasato e Ornellaia con un bel bollito misto».

Altro?

«Infine il vino Novello, io sono molto autunnale nel mio carattere, nella mia sfera emotiva, mi piace ritrovare quel sapore. Quel gusto un po' asprigno».

Menù tradizionale o innovativo?

«Una bottiglia di rosso con polenta, formaggio e lepre in salmì. Che me ne faccio del sushi e del tandoori?».

La regione e la città che per lei sono sinonimo di buona cucina?

«Amo tutta la cucina italiana, siamo il Paese dove si mangia meglio al mondo. Forse la Francia può competere. Dalla Toscana alla Puglia una meraviglia in ogni luogo, vedo il bello da tutte le parti».

Il suo luogo del cuore?

«In realtà sono due, la trattoria Righini alle porte di Lodi a Inverno e Monteleone. Gestita da nonna Ines che ancora traffica in cucina e dal figlio. Un'esperienza mistica, mangi divinamente, producono e allevano tutto loro, da provare».

Il secondo?

«Il secondo è un ristorante rustico ma molto confortevole a Cortina, la malga El Brite de Larieto, una baita in mezzo a un bosco di larici. Un posto dove bisogna andare».

La cena

romantica è un'arma vincente?

«Mah... Io ho sedotto sempre di più a parole e continuo a farlo. Non faccio da mangiare per arrivare al dunque altrimenti tanto vale passare subito oltre: il tempo è sempre più prezioso».

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