Cedere il controllo di Sea è «regalare» un tesoro Non si fa di fretta e al buio

Cedere il controllo di Sea è «regalare» un tesoro Non si fa di fretta e al buio

di Claudio Borghi

C'è un evidente indizio per individuare quando in un'amministrazione pubblica si fanno cose poco chiare: l'oscurità. Nel consiglio comunale di Milano infatti lunghe vacanze estive generano improvvisamente sedute ad oltranza notturne per «fare in fretta» ed arrivare alla vendita di un altro pezzo di Sea, il «tesoro» dei milanesi, la società che gestisce gli aeroporti. Fare in fretta? La stessa fretta che ha portato l'anno scorso al pasticcio della strana vendita del 30% della Sea al fondo F2i di Gamberale? Anche allora l'emendamento spuntò nella notte. Si doveva vendere la famigerata Serravalle, oggetto di «frettolosi» acquisti con inimmaginabile sperpero di soldi pubblici effettuati dal presidente della provincia, Penati. Con un colpo di scena, non si sa come mai, si finì per vendere «al volo» solo gli aeroporti, con un bando di gara discutibile. Fu un'assurdità incenerire con un tratto di penna, nella notte, delibere passate all'unanimità che dovevano disciplinare la vendita di Sea secondo ben altri criteri. Poi con comodo si scoprirono le intercettazioni, i «bandi su misura» e le sghignazzate al telefono di chi aspettava proprio quella «sorpresa». Oggi incredibilmente si sta vivendo quella che sembra una replica. Sedute ad oltranza, «fare in fretta» e spiegazioni inverosimili. Ribadiamo il concetto: scendere sotto il 51% nella proprietà di una società senza venderla in blocco significa regalarne il controllo. Il controllo di una società importante, strategica e profittevole vale molti soldi. Quindi, per semplice sillogismo, la delibera di collocamento in borsa del 25% di Sea significa regalare molti soldi. Le giustificazioni date per la nuova accelerazione sono incredibili: Bonomi di Sea è riuscito persino a rispondere al capogruppo Pdl Masseroli che gli faceva notare che la nostra Borsa oggi non fosse affatto più alta rispetto al momento in cui si scartò l'ipotesi di quotazione, che «la volatilità è molto inferiore». Come se i risparmiatori investissero sulla volatilità. Lasciamo anche perdere le promesse elettorali di Pisapia «Non venderemo mai le nostre preziose partecipate», ma per fare carta straccia di numerose delibere che impongono al Comune di non scendere sotto il 51% di proprietà occorrono serie analisi comparative, non si può scherzare con cifre così elevate come quelle del valore degli aeroporti milanesi. In un mondo normale se si decidesse un cambio di strategia così radicale sarebbe obbligatorio discutere con la dovuta calma delle migliori possibilità di valorizzazione. La cessione del 51% di proprietà dello Stato in tre aeroporti vecchi e oltrecapienza in Brasile ha reso l'iperbolica cifra di 14 miliardi di dollari mentre altre ipotesi di vendita che prevedevano il mantenimento del 51% nelle mani pubbliche, sia in Brasile sia in Europa (come è stato il caso di Newcastle) hanno lasciato gli investitori freddi. Milano sarebbe quindi un inspiegabile caso di ente che decide di scendere sotto la maggioranza assoluta di una preziosa società partecipata senza nemmeno provare a massimizzare gli introiti.

La scusa della «maggioranza relativa» è risibile: chi impedirebbe ad altri (un nome a caso, lo stesso soggetto che si aggiudicò in perfetta solitudine la prima tranche di vendita) di acquisire sul mercato sufficienti azioni tali da sfilare il controllo sotto il naso al comune senza pagare un centesimo di premio? Ricordiamo che un'eventuale Opa andrebbe effettuata alla media ponderata degli acquisti, e quindi ad un prezzo vicino a quello della prima rocambolesca vendita. Non è tempo di regali e di sicuro non con i nostri soldi.
Twitter: @borghi_claudio

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