Cronaca locale

«Al Centro diagnostico curati in 40 anni 18 milioni di pazienti»

Quarant'anni fa per fare un check-up completo bisognava arrangiarsi da soli: prima mettendosi in coda in ospedale per fare le analisi del sangue. Poi spostarsi agli ambulatori per la raccolta delle urine. E poi ancora prenotando la radiografia. Un giro lungo e stancante. Da lì è nata l'idea di aprire il Centro diagnostico italiano. Un unico luogo dove fare tutti i controlli, in un solo appuntamento. A ricordare le origini del Cdi è l'attuale presidente ed amministratore delegato Diana Bracco. Presidente Bracco, di fatto si può dire che 40 anni fa suo padre Fulvio aprì il Cdi per far risparmiare tempo ai milanesi.«Esattamente. Il centro nacque come idea anti-coda per rendere più fluido il processo delle analisi e dei controlli preventivi. E così puntiamo a fare ancora oggi».Come partì il progetto?«Un gruppo di imprenditori milanesi mise assieme i fondi e strutturò il piano di fattibilità. Fu un'iniziativa della borghesia illuminata milanese. Non furono investiti fondi pubblici e inizialmente la struttura non era accreditata al sistema nazionale». Quindi era tutto in mano ai privati?«Sì. Per questo bisognava farsi pubblicità. Il professor Seggio Chiappa, ideatore del Cdi, si metteva sulla porta e chiamava la gente urlando Venite!. Dovevamo farci conoscere».Direi che di gente ne è venuta parecchia: 18 milioni di pazienti dal 1975 ad oggi. «E garantisco che li abbiamo coccolati tutti. Abbiamo curato molto l'accoglienza perché, diciamolo, a nessuno piace andare a fare il chek-up, soprattutto quando teme di avere qualcosa di grave». Nel 1989 arrivò la tac, nel 1990 la risonanza magnetica. Furono rivoluzioni storiche per la diagnostica?«Siamo sempre stati pronti ad accogliere le novità e in tanti casi siamo stati i primi a sperimentarle. Il primo ciberknife, il robot per la radioterapia, fu installato da noi nel 2004». Ed oggi arriva anche la nuova sede, in piazza Gae Aulenti, nel cuore della nuova Milano.«Il nuovo poliambulatorio è attrezzata per effettuare visite per 29 specialità mediche e 11 tipi di trattamenti fisioterapici. Abbiamo creato percorsi personalizzati per la prevenzione per le donne e la cardiologia. Vogliamo essere sempre più vicini al paziente». Progetti per il futuro?«L'anno prossimo apriremo una nuova sede in viale Monza, su un'area di 400 metri quadrati. La nostra priorità resta la medicina di prossimità». Sarete presenti anche ad Expo?«Vedremo. Però al momento siamo già presenti a Rho con un poliambulatorio».Cosa pensa dei tagli del governo sulla sanità?«Capisco la volontà di risparmiare. Ma non lo si faccia sulla diagnostica».Eppure il ministro Lorenzin ha diramato le nuove linee guida. E impone ai medici di tagliare gli esami inutili. «Però la prevenzione va fatta prima che si manifestino i sintomi. Non si sottovaluti l'importanza della fase della diagnosi: deve essere completa per impostare al meglio la terapia per il paziente. Altrimenti i medici si chiudono e, senza esami, non sono in grado di formulare diagnosi.

Prevenzione vuole dire minori costi, ma, soprattutto, migliore qualità della vita per i cittadini».

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