Alberto Giannoni
Dopo un tratto di salita, costellata da voti locali favorevoli al Pd, oggi il centrodestra lombardo vede aprirsi una strada in discesa. Il referendum è stato un ottimo viatico in vista delle amministrative del 2017 e delle successive Regionali. Il fronte anti-governo ha infatti prevalso largamente, un po' ovunque (con le rilevanti eccezioni di Milano, soprattutto zona 1, Monza e Mantova). E oggi, per il centrodestra è più vicina la riconferma di un'esperienza di governo che, con formule diverse, risale all'ormai lontano 1995. Il Pd oggi prova a intestarsi tutti i «Sì» del 4 dicembre ma il 45% è una battuta d'arresto per le ambizioni del centrosinistra lombardo. Anche le ambizioni degli aspiranti governatori del Pd sono in una fase di stallo. I nomi restano quelli di Maurizio Martina, ministro uscente (e forse rientrante),del segretario regionale Alessandro Alfieri e del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, un (ex) renziano di ferro che in questi giorni è apparso molto impegnato a smarcarsi dal governo sul tema dell'immigrazione. Un'incognita potrebbe essere rappresentata dal consenso del Movimento 5 Stelle, teoricamente in grado di smontare un assetto bipolare che, almeno in questa regione, appare ancora solido. Ma i sondaggi in mano ai partiti del centrodestra, oggi, sono rassicuranti. Il presidente della Regione Lombardia oggi è l'uomo di governo più importante d'Italia fra quelli eletti direttamente. E Roberto Maroni, oltre ad aver combattuto da protagonista col No al referendum, ha già sostanzialmente vinto un'altra partita, quella a cui aveva legato l'intero mandato: la battaglia per l'autonomia. Se perfino i «grillini» hanno deciso di sposare la causa federalista, a costo di apparire leghisti, è il segnale che su questo terreno la linea del presidente non incontra ostacoli, almeno a queste latitudini. E l'asse con gli altri governatori del Nord è un'altra carta da giocare.
La ricandidatura di Maroni oggi sembra non incontrare ostacoli (fatti salvi gli effetti di vicende non politiche). Gli ultimi movimenti del centro sono arrivati a sancire questa realtà e il presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo (Ncd) lo ha definito «il candidato naturale». Il rapporto fra Lega e centristi, d'altra parte, in Lombardia è meno problematico che altrove. Confermare una formula di governo ridata sul campo è più facile che inventarla di sana pianta. E anche le Comunali di Milano sono state un passaggio positivo, che scoraggia i fautori della rottura. I centristi, è vero, chiedono alla Lega di abbandonare le tentazioni «populiste», ma sulla linea di Maroni non hanno alcun problema. Si dice anzi che un pezzo del mondo cattolico, soprattutto in caso di dissoluzione di Ncd, potrebbe andare a rafforzare le fila della Lista Maroni, che già nel 2013 è risultata decisiva.
Veti veri, insomma, non ce ne sono. Semmai è la Lega che, ribaltando il discorso, chiede una scelta di campo: «Non c'è una Lega di Maroni e una Lega di Salvini - dice il capogruppo Massimiliano Romeo - e chi pensa di usare questo argomento contro di noi si illude. Ci sono ruoli diversi ma la Lega è una sola.
Sono altri, piuttosto, a dover decidere cosa vogliono fare, visto che a Roma dicono una cosa, a Milano un'altra, un po' appoggiano Matteo Renzi e il Pd e un po' no. Fatta questa chiarezza, io non credo che ci saranno problemi a lavorare nel merito e sui programmi, per il bene dei cittadini lombardi. Noi vogliamo vincere le elezioni e sappiamo misurarci con i problemi concreti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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