«Mi devi dare altri 500 euro. Sai una cosa? Mi avete rotto le palle. Adesso chiamo i carabinieri». Così, Enrico Cilio, classe 1930, sedicente commercialista, diceva al telefono. Non cè stato bisogno di presentarsi in caserma. Sono stati i carabinieri ad andare da lui. E così, ieri, Cilio è finito agli arresti. Con lui altre 13 persone. Unorganizzazione che avrebbe messo in regola con documentazione falsa le posizioni di almeno 7mila stranieri, per tre quarti egiziani, che per una pratica completa arrivavano a pagare fino a 3mila euro per lingresso illegale in Italia grazie ai visti di ingresso fasulli, e la regolarizzazione del permesso di soggiorno attraverso la simulazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Assieme a Cilio sono stati arrestati anche il figlio Sebastiano e il nipote Enrico, oltre a tre stranieri: Fatima Letif, marocchina, legiziano Mahmoud Ahmed Sleem Galam e il pakistano Masood Alam, intermediari tra il gruppo italiano e i clandestini.
Unindagine lunga e minuziosa, quella dei carabinieri della I sezione del Nucleo investigativo, coadiuvati dal Gico di Triste e dagli uffici immigrazione della Questura. Da due anni erano sulla pista di Cilio, cognato del banchiere Michele Sindona e indicato dalla Commissione dinchiesta parlamentare sulla mafia in Calabria come uno dei referenti del clan «Morabito-Palamara-Bruzzaniti», per i quali avrebbe «trasferito allestero il patrimonio rappresentato da alberghi, ristoranti, bar nel cuore di Milano».
Il meccanismo era ben oliato. Allo straniero che voleva entrare in Italia aggirando le normative era sufficiente contattare unitaliana che viveva in Africa, la quale inviava un fax a Cilio per avviare la procedura di ingresso illegale nel nostro Paese. Su richiesta, e dietro adeguato compenso, il servizio comprendeva anche le «pratiche» per favorire la permanenza dei clandestini nel territorio nazionale. E non è escluso che da questa enorme mole di irregolari, le organizzazioni criminali (incluse quelle di matrice terroristica) abbiano pescato per trovare nuova «manovalanza». Lorganizzazione era molto articolata e svolgeva anche altri servizi, tramite la costituzione di una trentina di società che in realtà erano solo «cartiere» per la produzione di documenti falsi. Tra i clienti figuravano quindi non solo clandestini, ma anche imprenditori italiani che volevano evadere le tasse con il sistema delle false fatturazioni. Il gip Simone Luerti, inoltre, ha disposto il sequestro per 40 milioni di euro di otto immobili di pregio a Milano, di un residence e di 14 appartamenti a Riccione, di altre 16 case a Pietra Ligure e 12 tra Milano, Bergamo e Brescia.
Secondo il pubblico ministero Elisa Moretti, che ha coordinato le indagini, «limportanza dellattività svolta deriva dalla sistematicità di questa organizzazione criminale, che utilizzava società non operative che vivono solo come cartiere per fornire documentazione falsa». Il problema sottolineato dallo stesso magistrato, però, è che malgrado le svariate inchieste condotte negli anni, questo tipo di organizzazioni continua a ripetere lo stesso tipo di reati. La maggior parte delle trenta «cartiere» che producevano documenti falsi era milanese.
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