Il tripudio dei rami dulivo, simbolo dell«Osanna» di pace che salutò Gesù alla sua entrata a Gerusalemme, ha festeggiato la prima domenica delle Palme a Milano del cardinale Angelo Scola. «Angelino, Angelino»: così, centinaia e centinaia di fedeli in processione, organizzata questanno dalla comunità latino-americana, hanno accolto alluscita del palazzo il cardinale fino alla chiesa di Santa Maria Annunciata in Camposanto e poi in un Duomo gremito, dove è iniziata la messa delle 11.30.
«Sappiamo che Gesù ci rivela chi è il nostro Dio. E un Padre che ama la libertà dei figli al punto da non sopraffarla mai, senza mai cessare di pro-vocarla con la forza della verità» ha detto Angelo Scola. Pro-vocare. Significa letteralmente chiamare in avanti, fare in modo che la potenza della voce interiore esca «fuori» per confondersi con la voce di chi ci chiama con amore. E Scola aggiunge: «La verità ci scuote dalla «gaia rassegnazione» in cui spesso, senza accorgercene, scivoliamo; incapaci o semplicemente stanchi di cercare il senso pieno della nostra esistenza». Con un invito ad uscire dallopaca noia del pensiero che spesso ci attanaglia in una morsa di immobilismo spirituale, in un grigiore in cui si beatifica solo la rabbia e la supponenza della ragone, Scola ha centrato lomelia sullazione «per donare qualcosa di noi stessi e dei nostri beni a chi è nel bisogno spirituale e materiale. Fare. Mediante la partecipazione alla liturgia, che è intenso spazio al Crocefisso glorioso delle nostre giornate».
«Angelino» ha invitato la comunità a vivere profondamente questa «settimana eminente», che è figura pregnante del cammino della nostra vita, come una processione che si muove tra il dolore e la gioia, in quanto prove pro-vocanti, che non spingono a chiuderci in una gabbia ma a portarci fuori da noi stessi per donarci. Qualsiasi sia il nostro ruolo e la nostra professione. «Il comportamento di Dio nel governo del mondo dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che dirigono le comunità uname. Proprio costoro hanno il dovere di comportarsi come ministri della provvidenza divina».
Parole che vengono dal catechismo della chiesa cattolica e che individuano nellumiltà dellagire il fine ultimo della creatura umana. Ispirandosi alla prima lettura il cardinale ha proprio parlato della mansuetudine di Gesù, della sua prays, cioè umiltà, che si deve tradurre come «obbedienza al disegno del Padre. Questa deve essere anche la nostra, perché la Chiesa scaturisce dal costato di Cristo e deve nascere ogni giorno nel cuore di ogni fedele».
E lentusiasmo di aprirsi il messaggio che dal pulpito della Cattedrale arriva ai milanesi, perché larte della Croce è larte di inscrivere il cuore nellintreccio di un disegno divino. Emergendo dalla palude della solitudine.
Il compito di ogni persona, intesa come corpo attraverso il quale devono risuonare molti voci, è di «invocare il profondo cambiamento, attraverso lintercessione della Vergine, di San Giuseppe, di SantAmbrogio, di San Carlo.
Quel cambiamento infuso dalla Quaresima: la conversione». Come insieme di morte e resurrezione, «nella morte e nella resurrezione di Gesù». Questo è Pasqua.
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