Piera Anna Franini
È il sacro giorno, il Natale del pianoforte. Il 5 gennaio sono nati tre astri come Arturo Benedetti Michelangeli, Alfred Brendel e Maurizio Pollini, oggi 75 anni tondi tondi. La Scala lo festeggia il 16 gennaio, con un recital che va ad aggiungersi ai centoquaranta di Pollini al Piermarini. Vi esordiva nel 1958 eseguendo, in prima assoluta, la Fantasia per pianoforte e strumenti a corda di Giorgio Federico Ghedini sotto la bacchetta di Thomas Schippers.
Scala, dunque, che fiutava e promuoveva questo talento di Milano, figlio di Gino, architetto fondatore del movimento razionalista italiano e di Renata Melotti, sorella di Fausto, scultore icona dell'Astrattismo. Nel 1960, si imponeva come gloria d'Italia, di un Paese emergente, desideroso d'affermazione, anche internazionale: Pollini vinceva la medaglia d'oro del Concorso Chopin di Varsavia. Serio fino alla severità, si ritirava dalle scene per studiare, ripresentandosi di lì a qualche anno. Un artista che ha fatto della ricerca a oltranza, scavo analitico e timbri asciutti, la propria cifra stilistica. Asciutta, anzitutto, è la personalità dell'artista: la discrezione fatta persona. Pollini è riservatissimo quando si sfiora il privato, ma può essere un fiume in piena se si parla di musica, soprattutto contemporanea. Ne parlerà anche venerdì 13 gennaio alle 17,30 in un incontro riservato agli studenti dei Conservatori e delle Scuole civiche di musica di Milano e della Lombardia. L'incontro, condotto da Franco Pulcini, nel Ridotto dei Palchi della Scala per parlare anche del programma del lunedì seguente centrato su Beethoven (Sonate Patetica, Á Therèse e Appassionata) e Schönberg (Drei Klavierstücke op 11 e Sechs kleine Klavierstücke op. 19). Due compositori chiave del percorso di Pollini, alla storia anche per aver individuato una nuova chiave di lettura di Chopin, a cui è dedicato il CD Late Works in uscita per Deutsche Grammophon il 27 gennaio. Per i 75 anni del Maestro, l'etichetta ha pubblicato l'integrale delle sue incisioni: un monumento di 55 CD e 3 dvd. Perché Pollini continua a credere nel disco, «conserva momenti, favorisce la conoscenza e alludo anzitutto a quella della musica contemporanea che può essere compresa solo dopo ripetuti ascolti», ci ha spiegato recentemente. Questo anche se «il pubblico significa moltissimo. Mi sento in una posizione più naturale quando suono in una sala da concerto. Mi piace l'idea di poter suonare per qualcuno. Nella solitudine dello studio, la concentrazione può essere forte, ma richiede molto autoconvincimento».
Uomo di acuta intelligenza ed eleganza, di fronte al fenomeno crescente ed esplosivo dei pianisti cinesi, getta acqua sul fuoco con pacatezza, conciliando diplomazia e verità: «Hanno una capacità fisica, scioltezza e abilità formidabili, però questo è un fatto fisico e meccanico. Diciamo che quello che più mi interessa è il fenomeno di appropriazione di una cultura diversa. Questo dovrebbe renderci fieri e far pensare che forse la nostra musica ha un grado di maturazione superiore alla loro se risveglia questi interessi». Con l'amico Claudio Abbado ha condiviso battaglie civili.
È passata alla storia la sua lettura nel 1972, in Conservatorio, di un proclama pro-Vietnam (firmato da Petrassi, Abbado, Quartetto Italiano, Dallapiccola) a una platea che travolse l'interprete, notoriamente schivo e riservato, con una pioggia di fischi. Pollini non mise più piede in Conservatorio per un quarto di secolo, fino al concerto di riconciliazione del 2002.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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