"Così arte e agricoltura aiutano la Ca' Granda a curare i nostri malati"

Il presidente del Policlinico spiega il futuro tra la nuova sede e il Museo con l'archivio

"Così arte e agricoltura aiutano la Ca' Granda a curare i nostri malati"

La Festa del Perdono, istituita nel 1459 da Papa Ppio II per celebrare l'indulgenza plenaria e ringraziare tutti i benefattori della ca grande, festa esclusivamente meneghina, è stata rilanciata nel suo mandato, e ha avuto una grandissima partecipazione...

«Sì c'è stata un grande folla fin dal mattino per la messa celebrata dall'arcivescovo della citta Monsignor Delpini, oltre 400 cittadini hanno assistito al concerto della fanfara dei Carabinieri nell'aula magna della Statale».

Non si era mai visto un ministro dell'interno al Policlinico...

«Il milanese Matteo Salvini è venuto a rendere omaggio a una grande istituzione storica, cioè il nostro ospedale che credo sia tra gli ospedali tutt'ora attivi più antico di Italia: sono tantissimi gli ospedali che sono stati fondati nel XV secolo, ma pochissimi sono andati avanti in continuità fino a oggi come il Policlinico».

La Festa del Perdono ha visto una giornata ricchissima di eventi, oltre all'inaugurazione, in pompa magna, della Quadreria dei benefattori, «I tesori della Cà granda». Perché un ospedale si occupa di mettere in mostra i suoi capolavori?

«Avevamo voluto rilanciare la festa perché il mio obiettivo, da quando sono stato nominato presidente della Fondazione è sempre stato quello di far reinnamorare i milanesi di questa istituzione storica famosa, che era finita nel dimenticatoio. Tutti guardano al Policlinico come un grande ospedale nel centro, ma non a tutta la sua storia e a quello che èm stato in passato».

Cioè?

«Oltre a essere il primo Irccs pubblico in Italia, il più grande proprietario agricolo d'Italia è soprattutto il custode imprescindibile della storia della città, perché dal 1456 quando è stato fondato fino a quando sono stati fondati i Comuni il vero centro della città era la cà granda; al di là del Palazzo Ducale e dell'ospedale non c'era altro. Il Duomo era in costruzione, quindi la piazza dove succedeva tutto era il Policlinico, qui si curava, si nasceva, si moriva, si davano i bambini in adozione - si parla di 150mila bambini cresciuti nell'orfanotrofio della Cà Granda -. Qui nasce il cognome Colombo: il simbolo della Cà Granda era la colomba dello Spirito Santo: i bambini cresciuti all'ospedale, una volta raggiunta la maggiore età, non acvendo un cognome prorio perchÉ venivano abbandonati nella ruota degli Esposti venivano chiamati Colombo. Ecco perché il cognome più diffuso in Lombardia è Colombo».

Quindi?

«Mi piacerebbe riportare lo spirito autentico del Policlinico, cioè di un ospedale aperto alla città, che si occupi non solo di cura ma che promuova anche stili di vita, corretta alimentazione, aiuti i milanesi e faccia ricerca soprattutto perchè tutti i proventi delle iniziative di valorizzazione del nostro patrimonio, rurale e culturale, viene girato alla ricerca, che è la madre di tutte le battaglie per sconfiggere le malattie».

Due giorni fa avete inaugurato la Quadreria, una straordinaria collezione di ritratti dei benefattori della Cà Granda, firmati Segantini, Carrà, Sironi, Hayez già visitata da almeno 200 cittadini in due giorni, grazie ai volontari del Touring. Cosa avete in mente di fare con l'archivio che racchiude tutta la storia di Milano dal 1450 a oggi?

«In occasione anche della costruzione del nuovo ospedale, che salvo ricorsi dovrebbe essere pronto in tre ani, la mia idea è di trasferire gli uffici amministrativi di via Sforza 28, attualmente separati dall'ospedale, per creare il Museo della città.

Qual è il progetto?

«Vorrei poter esporre documenti, carteggi, testamenti, mappe. Sotto l'archivio, infatti, c'è un sotterraneo ampio quattro volte tanto dove sono raccolti i documenti amministrativi della città. Tra l'archivio della Cà Granda e l'archivio del Comune, nato tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, abbiamo l'anagrafe civile più completa, credo, al mondo dal momento che possiamo raccontare i nati e i morti dal 1400».

In pratica?

«L'idea è di realizzare un museo della storia di Milano che si estenda per tutto il palazzo degli uffici, per raccontare attraverso i nostri documenti, come si è evoluta la città, come è cambiata, chi ci ha lavorato e vissuto. L'abbiamo scritto nell'Accordo di programma con Comune e Regione, certo come sviluppare il museo è ancora tutto da vedere. Sarebbe bello trovare sinergie con l'Università, il Comune, la Diocesi: possediamo pergamene miniate, firme originali dei notabili che hanno guidato la città, il testamento originario di Bonvesin della Riva, l'atto di fondazione dell'Ospedale, il pagamento della Cà Granda al Filarete. In sostanza si tratta di un archivio amministrativo in perfetta continuità dal 1465 a oggi. Per non parlare dei fascicoli dei medici, dai più illustri come Mangiagalli e Vittorio Staudacher a Enzo Jannacci che per sei mesi è stato da noi».

Esiste un archivio di medicina?

«Vantiamo una raccolta di strumenti e la più completa biblioteca di medicina storica di Europa».

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