Il violinista Uto Ughi, 74 anni, dopo la presentazione del suo nuovo lavoro discografico «Note d'Europa» - oggi alle ore 18 alla libreria Feltrinelli Duomo con la partecipazione del critico Armando Torno - lunedì sera sarà in concerto con il pianista Andrea Bacchetti all'Auditorium Verdi in Largo Mahler, un evento che prende il titolo dall'incisione. Il maestro prima dei due appuntamenti ha risposto a qualche domanda.
Lunedì un recital a favore di Telethon e la cura delle malattie genetiche rare: si fa abbastanza per la solidarietà?
«La musica è senz'altro un veicolo importantissimo di unione, va al di là delle ideologie politiche. Quando c'è una causa giusta da sostenere penso che ogni musicista senta il dovere di fare la sua parte. Io non mi sono mai tirato indietro. E ho fatto anche dei festival a favore dei giovani».
Come trova il pubblico milanese nei confronti delle cause di solidarietà?
«Milano, insieme a Torino e Firenze, è la città più ricettiva per la cultura. Il pubblico dei milanesi è sempre stato attento, sensibile e partecipante; qui c'è una forte tradizione. Il capoluogo lombardo è uno dei grandi centri d'Europa».
Nel libro dei ricordi c'è qualcosa che vuole raccontare?
«Beh sì, ricordo ancora una serata al Palalido con un pubblico enorme, c'erano migliaia di persone, un'esibizione con un grandissimo artista, Rostropovich, mio caro amico. Un concerto di Ciajkovskij, con la London Symphony Orchestra».
Al concerto proporrà come programma i brani del suo nuovo lavoro discografico, può anticipare qualcosa?
«In questa incisione ho messo Francia, Germania, Austria, Ungheria, Polonia, Italia e Spagna; insomma, alcuni tra quanti hanno dato contributi importante alla musica. Come periodo storico si va dal Settecento ai primi del Novecento. Il mio compositore preferito? Rispondo come il pianista Rubinstein, l'autore preferito è quello che eseguiamo al momento».
Ha già scelto lo strumento, il violino con cui si esibirà?
«Non ho ancora scelto, dovrò vedere l'acustica della sala. L'Auditorium è una buona sala. Meno male che non ci sono moquette e tappeti che smorzano gli armonici, al contrario di altri luoghi. Io ho sempre usato Stradivari e Guarneri del Gesù, hanno caratteristiche diverse. Il primo è più apollineo, il secondo più dionisiaco».
Lei è critico sull'educazione musicale in Italia, qualcosa sta cambiando?
«Forse un cambiamento in peggio. Il popolo italiano ama la musica, tutti i generi, però manca la cultura fondamentale nelle scuole. Quando fanno le riforme la musica non è contemplata, resta un accessorio. Il contrario succede in Paesi come Cina e Giappone».
Eppure da noi, nelle nuove generazioni, ci sono musicisti bravissimi...
«In Italia ci sono dei talenti notevolissimi, purtroppo non sempre aiutati dalle istituzioni. Anche perché qui c'è la mania di pensare che chi arriva dall'estero è meglio. Siamo esterofili, il contrario dei francesi molto nazionalisti».
Come vede il futuro del nostro Paese, insomma che opinione sul nuovo che avanza?
«Bisogna vedere come opererà, poi si potrà dire qualche cosa. Per adesso vedo che c'è molta opposizione».
Che dire ai giovani, c'è un consiglio da dare...
«Bisogna stringere i denti in un momento di crisi della cultura, di indifferenza e superficialità. Bisogna continuare a credere negli ideali».
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