Un esame radiografico su tre, nel mondo, utilizza mezzi di contrasto della Bracco, azienda milanese da 90 anni tenacemente legata alla città. Qui, tra il quartier generale di Lambrate e gli stabilimenti di Cesano Maderno, occupa un migliaio di persone, meno di un terzo dei dipendenti sparsi tra siti produttivi e presenze commerciali in più di cento Paesi. A Milano la Bracco, che tuttora appartiene all'omonima famiglia, è nata, cresciuta e si è sviluppata grazie alle sue scoperte e a un intelligente lavoro di accordi e acquisizioni internazionali: i ricavi, che ammontano a 1,3 miliardi, provengono per l'87% dall'estero; il primo mercato sono gli Stati Uniti, il secondo la Cina. Una vera multinazionale, leader in un settore chimico-farmaceutico molto specializzato, nel quale la competizione si gioca con colossi quali General Electric e Bayer.
I mezzi di contrasto diagnostici sono quei prodotti che vengono iniettati al paziente per rendere visibili alle indagini gli organi interni, le loro patologie e il loro funzionamento. «Aiutiamo gli operatori ad aiutare il paziente» spiega con bella sintesi Diana Bracco, nipote del fondatore e attuale presidente e amministratore delegato del gruppo. Nel senso che il fattore di contrasto permette di effettuare diagnosi sempre più precise e più precoci, dando anche un contributo alla prevenzione e, con essa, all'efficienza del sistema sanitario. Questo grande mondo, nato a fine Ottocento con l'avvento della radiografia, si è evoluto in due direzioni: sulla via della precisione di lettura del corpo umano e su quella della sempre più bassa invasività. A questo proposito Diana Bracco racconta un episodio del quale fu testimone in prima persona, trent'anni fa. A un congresso medico a Washington, un radiologo indipendente presentò alla platea la registrazione audio effettuata durante un'angiografia con mezzi tradizionali: un susseguirsi di lamenti, l'immagine della sofferenza. Il medico poi propose il confronto con lo stesso esame praticato dopo la somministrazione di un prodotto nuovo di zecca, lo iopamidolo: seguì un prolungato silenzio assoluto. Così mostrò al pubblico incredulo che il dolore era stato debellato.
Quel prodotto, lo iopamidolo, usciva dai laboratori svizzeri della Bracco e fu un successo tale che portò l'azienda al raddoppio della produzione in un paio d'anni. Fu la vera svolta di un gruppo che fin dagli anni Cinquanta aveva creduto nella ricerca e che si era concentrato, con felice intuizione, proprio in questo segmento della chimica farmaceutica. Lo iopamidolo, tuttora la base per i prodotti attuali, trasformò l'impresa dandole grande respiro internazionale.
La storia veniva comunque da lontano. Alla fine della prima guerra mondiale Elio Bracco, classe 1884, irredentista istriano, fu incarcerato a Graz per le sue idee politiche e qui, durante la prigionia, incontrò un dirigente di un'azienda farmaceutica di Darmstadt, la Merck, che, affascinato dalle sue capacità comunicative, gli propose di vendere in Italia i suoi prodotti. «Era simpatico, geniale, matto» dice oggi Diana del nonno. Fu così che nel 1927 partì a Milano l'attività della Società italiana prodotti Merck, poi Italmerck, poi Anonima Bracco, dove entrò il figlio di Elio, Fulvio, laureato in chimica; questi, dopo essersi fatto le ossa in Germania, prese in mano l'azienda alla quale diede impulso, dopo la dura parentesi della seconda guerra, puntando sulla chimica e sulla ricerca. Gli obbiettivi si affinarono nello studio dei mezzi di contrasto e nel 1950 fu inaugurato un nuovo stabilimento a Lambrate.
Allo iopamidolo, e allo sviluppo tumultuoso che ne seguì, si arrivò per gradi, studiando le reazioni dei pazienti, per attutire ogni tipo di conseguenza e rendere indolore l'assunzione del farmaco, migliorando contemporaneamente la precisione delle indicazioni diagnostiche. La ricerca resta oggi la base, il punto fermo di tutta l'attività, anche al di là della diagnostica. Si cerca di agire sul fattore tempo: capire con il massimo anticipo, fare diagnosi precoci, agendo sull'aspetto funzionale e indagando l'attività dei singoli organi. Si studiano interventi microinvadenti. Si sta sperimentando una microvalvola per il cuore, sperimentazione impegnativa ma che ha già dato risultati soddisfacenti su pazienti altrimenti perduti.
«La ricerca sottolinea Diana Bracco s'interseca con il mondo esterno, interagisce con ogni altra idea, fa parte del complesso interdisciplinare di rapporti che generano innovazione». Il gruppo investe in ricerca il 9% del fatturato chimico-farmaceutico. «Il futuro continua la presidente - sono gli ultrasuoni. Abbiamo scoperto una tecnica innovativa, le microbolle per ultrasonografia, che consentono di operare nell'infinitamente piccolo, a livello molecolare. E stiamo pensando a mezzi di contrasto basati sulla fluorescenza, che rende possibile riconoscere i tessuti malati per indicare al chirurgo esattamente dove intervenire». Aggiunge: «Cerchiamo innovazione. Guardiamo con interesse a ogni possibilità che possa essere valorizzata, anche alle più impegnative».
La proprietà del gruppo è al 100% della famiglia, oggi in azienda con la quarta generazione: Fulvio Renoldi Bracco, 51 anni, è amministratore delegato di Bracco imaging, la principale società del gruppo e in passato ha avuto esperienze negli Stati Uniti anche nel mondo della finanza. Alla Borsa Diana Bracco ammette di aver pensato subito prima dell'11 settembre 2001, ma gli eventi le fecero cambiare repentinamente idea. Nel frattempo, lo scorso anno, dopo quasi 90 anni, sono state cedute al gruppo Dompé le originarie licenze ottenute dalla Merck; un portafoglio di farmaci etici e da banco (il più noto è il Cebion) che non rappresentava ormai né il core business né il futuro dell'azienda.
Bracco è rimasto dunque un marchio di prodotti professionali, che non vanno sul mercato dei consumatori. Ma il nome continua a essere noto a tutti soprattutto per l'attività di mecenatismo alla quale la famiglia prima attraverso l'azienda, poi attraverso la Fondazione continua a tenere molto. Di antica tradizione il rapporto con la Scala e con il mondo della musica, di valore internazionale mostre come quelle del Canaletto o quella del Giorgione allestite alla National Gallery di Washington. Porta il marchio esagonale il restauro della Galleria di Papa Chigi al Quirinale, come il restauro di fontane storiche a Genova, Roma, Napoli.
La famiglia, da decenni, è collezionista d'arte e possiede, tra l'altro, gran parte della produzione di un artista friulano del Novecento, Angiolo D'Andrea, che fu a lungo attivo a Milano. Non una celebrità: ma noto a tutti attraverso i suoi mosaici Liberty al Camparino, in Galleria Vittorio Emanuele, da molti considerati i più bei mosaici di Milano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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