Daverio: «I grattacieli sono belli Quelli degli italiani anche di più»

Daverio: «I grattacieli sono belli Quelli degli italiani anche di più»

Nella Milano semi deserta, immobilizzata dalla canicola agostana, brulica l'attività intorno ai grandi cantieri urbanistici che stanno cambiando definitivamente l'orizzonte della città. La costruzione dei nuovi quartieri, caratterizzati da vertiginosi grattacieli, continua a dividere l'opinione pubblica e a far discutere architetti, critici e urbanisti. Così due giorni fa sulle nostre pagine Vittorio Gregotti, che in città ha firmato la Bicocca, il polo universitario e le residenze, criticava duramente la Milano del 2015 che «sta cambiando volto in peggio». «I grattacieli che c'entrano? si chiede l'architetto, storico e docente universitario - questa verticalità è eccessiva e fine a se stessa, ignora la storia», si riduce «a un esercizio retorico pericoloso».
Non la pensa così Philippe Daverio, critico d'arte, docente, conduttore tv, ex assessore alla Cultura nella giunta Formentini, che conosce Milano piuttosto bene. «I grattacieli fanno bene a Milano per tre motivi - replica Daverio -: intanto colma il complesso di inferiorità da mancanza di torri. Le metropoli e le città di tutto il mondo li hanno, solo a Milano mancavano». Milano, città di Giò Ponti, soffre di un complesso...«eh sì, Milano che vantava il primo prototipo di torre dell'era moderna, tanto da aver ispirato il Pan Am Bulding di New York (ora MetLife Bulding) non ne ha più edificati da allora». Ora i lombardi possono mettersi il cuore in pace? «No, non del tutto perché sono vittime di un'altra frustrazione: la città che ha dato i natali al Pirellone non è più stata capace di produrre niente di simile: gli edifici che stanno nascendo non sono frutto della bottega italiana, ma sono stati comprati al grande supermarket dell'architettura internazionale». I maggiori progetti portano nomi stranieri, da Zaha Hadid a Arata Isozaki, da Cesar Pelli a Daniel Libeskind, tanto per citarne alcuni. Non si tratta solo di firme, secondo il critico d'arte, ma di un modo diverso di concepire l'urbanistica: costruire un grattacielo ormai è tutt'altra cosa dal disegnarlo. «Dietro ogni grande edificio - spiega Daverio - si nascondono squadre di ingegneri e di business men che devono garantire che queste opere siano eseguibili tecnicamente e sostenibili economicamente. Così la normativa europea favorisce i grandi studi di ingegneria: dietro i progetti ci devono essere fatturati importanti. CityLife ne è un esempio: qui ha vinto il progetto finanziario e non quello architettonico. Hadid, Libeskind e Isozaki non sanno nemmeno dov'è Milano...La nuova fiera rischia di essere una catastrofe dal punto di vista architettonico, finanziariamente è già fallito».
Secondo l'architetto Gregotti «grattacieli di dubbio gusto non fanno da cerniera a ciò che li circonda», ovvero monumenti, palazzi storici e abitazioni d'epoca stridono «con una verticalità fine a se stessa». Un esempio è il grattacielo di Cesar Pelli che spunta lungo il cannocchiale ottico di corso Garibaldi dietro l'omonima Porta: «Secondo me sta bene con il contesto. E poi hanno avuto l'idea di mettere quella punta barocca in cima a un edificio tutto sommato normale. Si merita 8 anche se avrebbe potuto essere disegnato per qualsiasi città. Stesso discorso vale per Porta Nuova, nell'insieme non ha nulla di brillante, tanto che i giapponesi e i turisti vengono per fotografare il Pirellone o la Torre Velasca non certo i nuovi edifici. Tornando al grattacielo Pirelli Milano ne ha costruito un altro, il Pirellone bis, la nuova sede della Regione...«Beh si merita 6, non di più, non è bello né brutto, un edificio da Emirati Arabi». Che spiega però - ecco il terzo motivo - un aspetto fondamentale della vita dei milanesi: il bisogno di riallacciare il contatto con la natura. «Gli abitanti sono depressi perché manca il contatto con la natura, elemento che caratterizzava Milano fino alla prima guerra mondiale.

Oltre i Navigli c'erano prati e campi, bastava varcare i confini per trovarsi in campagna. Il contatto con le Alpi all'orizzonte era costante. Poi la relazione con la natura è sparita: ecco che l'unico modo per ripristinarlo è vivere in alto, nei grattacieli».

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