«Diciamo no alla violenza sulle donne»

«Diciamo no alla violenza sulle donne»

In piazza contro la violenza sulle donne. Aveva solo 20 vent’anni Sonia quando è stata brutalmente uccisa da quello che sarebbe dovuto essere il suo compagno di vita. Due anni era durato il matrimonio. Appena ventiquattro mesi erano bastati per capire che si doveva allontanare il più in fretta possibile da quell’uomo. Ci aveva provato, lei. Aveva preso il coraggio con tutte e due le sue mani, quelle stesse mani che ogni giorno componevano mazzi di fiori variopinti. Sonia era arrivata fino alla Procura. Una, due, tre volte. Aveva denunciato ed era tornata a casa, da lui. Paura. E poi di nuovo il coraggio, quella forza che non cancellava la paura ma che l’aiutava a tenerla a bada. Sonia ne aveva tanto. Aveva chiesto il divorzio, ma lui non si rassegnava. Ci vogliono le prove, aveva chiesto la legge a quella piccola grande donna. E lei gliele aveva portate, una cassetta registrata. Era il 5 gennaio 2000. Il 21 gennaio Sonia è stata uccisa, brutalmente assassinata da suo marito. «Le hanno detto stia tranquilla. La proteggiamo noi. Lo so per certo perché c’era il suo avvocato con lei. Loro le hanno viste le prove, il coltello. Sapevano tutto.... E invece non è successo niente. Niente». Sono passati dodici anni da quando sua figlia non c’è più. Ma per papà Paolo Di Gregorio giustizia non è stata ancora fatta. Che cosa può fare un padre al quale hanno strappato la figlia se non scatenarsi anche contro quel Palazzo che non ha saputo difendere la sua bambina cresciuta ma che ha fatto uscire il suo Caino con l’indulto? Paolo di Gregorio è un uomo piccolo, con lo sguardo fiero mentre stringe tra le mani un volantino, alzando il braccio contro il Tribunale. C’era anche lui, un uomo fra tante donne, a manifestare ieri di fronte al Palazzo di corso di Porta Vittoria per chiedere giustizia per le vittime della violenza. C’era lui a nome dell’Associazione italiana che ha stretto insieme mamme e papà che si sono visti strappare le figlie dalla violenza omicida a chiedere che gli assassini paghino e paghino tutto. Vogliono la «certezza della pena» e gridano contro la sentenza della Corte di Cassazione sullo stupro di gruppo. Lo hanno fatto dando il via a una raccolta di firme affiancandosi all’associazione Donne arabe d’Italia. Dounia Ettaib, la presidentessa, porta avanti la sua battaglia contro l’estremismo islamico e non nasconde la sua preoccupazione che «sulle donne arabe potrebbe passare come scusa l’attenuante tradizionale e culturale». «Dobbiamo fare di più», rincara con forza l’ex sottosegretario Daniela Santanchè presente alla manifestazione. «Ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna. Bisogna che la politica intervenga. E non solo l’8 marzo. Io ci sono sempre quando ci sono le donne che chiedono giustizia, poche o tante che siano a manifestare». La Santanché ricorda che è sempre attivo il numero di telefono 15.22 istituito per le donne. E incita a denunciare. A ribellarsi «perché non tutte hanno il coraggio di farlo». Le fa eco l’attrice Margò Volo che indossa un cartello che la dice chiara: «Lo stupratore deve pagare o volete che arriviamo a farci giustizia con le nostre mani?». Per lei non sono parole astratte. È stata una vittima. Che si è ribellata, che ha urlato, che ha guardato dritto negli occhi chi voleva farle del male mentre se lo portavano via.

Non bisogna avere vergogna, non bisogna avere paura, esorta l’attrice. Invece «combattere perché i 30 anni di pena non diventino 15 e poi 7 per poi uscire per buona condotta. Chi uccide la buona condotta se l’è giocata. Per sempre».

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