Sesto piano del tribunale di Milano, il lungo corridoio della IX sezione. Qui finiscono i matrimoni dei milanesi. Sulla porta di un giudice, un cartello invita a presentarsi alle udienze di divorzio «con abbigliamento consono». Nei giorni consueti, qui sta in lista d'attesa una umanità dolente e a volte litigante, in attesa che un giudice riconosca in nome della legge la fine che è già stata sancita nei cuori. Numeri rilevanti: nel corso dell'ultimo anno, 9.135 matrimoni si sono dissolti per separazione o per divorzio.
Cosa cambierebbe, in questo corridoio desolato, se venisse approvato il referendum radicale che azzera i tre anni di attesa tra separazione e divorzio? Se mogli e mariti potessero riprendere da subito la libertà completa? Presto detto: si tratterebbe di una rivoluzione quasi copernicana. Si risparmierebbero anni di attese, di recriminazioni, di vertenze, e anche di sofferenze. Zac, un taglio netto, invece dell'interminabile limbo della separazione, questa sorta di matrimonio in coma irreversibile.
Il periodo di attesa di tre anni tra separazione e divorzio è previsto dalla legge Fortuna-Baslini, approvata nel lontano 1970, come una sorta di pausa di riflessione obbligatoria prima dell'addio definitivo tra i coniugi. Ma alla prova dei fatti, almeno nel tribunale di Milano, si è scoperto che di questa pausa di riflessione non beneficia quasi nessuno, ed anzi durante questa finestra si generano nuove tensioni. Le statistiche dicono che circa l'80 per cento delle separazioni si tramuta in divorzi non appena trascorso il tempo di attesa. E non che il restante 20 per cento si risolva in rappacificazioni, dove l'amore creduto morto risorge dalle sue ceneri. No, semplicemente si tratta di separazioni di facciata, che nascondono accordi sottobanco tra marito e moglie per meglio gestire affari e tasse.
Ma nelle rotture vere, quando matrimoni lunghi decenni o brevi come sospiri si rompono sul serio, i tre anni di attesa servono solo a peggiorare le cose. Perché accade che a botta calda, sull'onda dell'insofferenza, uno dei coniugi pur di vedere sciolto il vincolo sia pronto - su pressione dell'altro coniuge o per la moral suasion del giudice - ad accettare condizioni di cui subito dopo si pente: sia per quanto riguarda l'aspetto economico, sia per l'affidamento dei figli. E così poco dopo la separazione si innesca frequentemente un nuovo contenzioso, con richieste di modifica degli accordi appena presi, che intasa la IX sezione.
Molto più semplice - spiegano gli addetti ai lavori - sarebbe se si potesse divorziare subito, senza attese. Il matrimonio avrebbe la sua parola fine, entrambi i coniugi sarebbero liberi di rifarsi una vita. E i tentativi di modificare gli accordi si ridurrebbero sensibilmente. Certo, questo scenario di «divorzio facile» potrebbe proeccupare chi teme conseguenze tipo Las Vegas, matrimoni a raffica che durano un attimo. Ma ci sarebbero comunque le pesanti condanne agli alimenti a frenare i divorzi e i risposi a cuor leggero.
Di una norma che alleggerisca il carico di lavoro, d'altronde, la IX sezione ha bisogno come del pane.
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