Cronaca locale

Dal dopoguerra a oggi Tutti i volti di Milano raccontati in 170 scatti

Berengo Gardin, Jodice, Basilico e altri: le fotografie dei grandi maestri italiani per ripercorrere i mutamenti della città

Per chi ama MIlano, ecco una mostra da non perdere. Si intitola «Ieri. Oggi. Milano». Capolavori del museo di fotografia contemporanea, è curata da Roberta Valtorta e si tiene allo Spazio Oberdan (Viale Vittorio Veneto 2, fino al 30 agosto. Orari: da martedì a venerdì 12-19.30; sabato e domenica 10-19.30). Mette insieme 170 fotografie e opere video, da secondo dopoguerra ai giorni nostri, frutto del lavoro di quaranta autori italiani e stranieri e si propone di illustrare il mutamento urbanistico del capoluogo lombardo.

Si parte della macerie e dalle baracche all'indomani dell'ultimo conflitto, si prosegue con la ricostruzione, le fabbriche, le periferie che crescono, i nuovi cantieri, si arriva alla città che diventa metropoli post-industriale e al nuovo profilo socio-economico e culturale che ne deriva. Per mettere insieme le immagini sono stati selezionati dodici fondi fotografici: quelli di Raccolta antologica, Milano senza confini, Idea di metropoli, Ritratti di fabbrica. Poi, quelli legati al nome di singoli fotografi: i fondi Patellani, Colombo, Sacconi, Nocera, Del Comune, Cattaneo, Gioli, Basilico, Vicario. Fra gli artisti esposti, vale la pena di ricordare i nomi di Berengo Gardin, Campigotto, Barbieri, Jodice, Liucas, Cerati, Mazzocchi.

L'esposizione si snoda partendo dal salone al primo piano, dove dalla metà degli anni Novanta a oggi è di scena la Milano postindustriuale, con foto a colori e di grande formato. Nelle stanze delle «balconate» successive, c'è invece il percorso dalla metà degli anni Quaranta agli Ottanta, dove il bianco e nero assume le vesti di vera e propria memoria storica. Fin qui abbiamo raccontao la mostra nella sua schematicità tecnica: temi, luoghi, autori, percorsi. Ma la magia di «Ieri. Oggi. Milano» è proprio nel suo essere una sorta di «cinematografia milanese». Scorrono davanti ai nostri occhi le case di ringhiera, i volti operai, la vita nelle fabbriche, nelle balere e trani, l'umanità dolente delle prime immigrazioni, i contrasti fra quartieri popolari e quartieri borghesi. Ciò che è raccontato nei romanzi di testori, nei film di De Sica e Visconti, coevi o successivi all'epoca in cui furono scritti e girati, ritorna qui fotogramma dopo fotogramma, verità però e non reinvenzione. Allo stesso modo, la Milano che dal 1960 è in prima fila nel boom economico, esplode nelle immagini delle nuove mode, dei nuovi balli, di rinnovati luoghi di ritrovo, dall'Idroscalo ai locali notturni del centro cittadino, tiene a battesimo il quadrilatero della moda, dà nuova linfa al mondo della cultura: L'Umanitaria e il Piccolo, i fasti della Scala.

Via via che la mostra si estende ai nostri giorni, l'occhio dei fotografi registra sul tempo quello che poi da cronaca diverrà stortia: la «Milano da bere», per dirne una, con il suo coacervo irresistibile di vitalità e volgarità, di faccendieri e politici, creativi, designer e, per usare un termine milanese, «zanza». Al mutare delle facce e degli abiti, corrisponde una nuova architettura urbana che tende sempre più a farsi virtuale man mano che espelle fabbriche e industrie dal suo interno, man mano che viene perduto un disegno omogeneo di crescita e si procede in ordine sparso. Rispetto ai quartieri popolari, che conservano un'anima, le nuove periferie compongono un universo più amorfo, e lo stesso centro cittadino tende a rarefarsi espellendo professioni, ceti artigiani, insediamenti. Non è un caso che dalla metà degli anni Novanta il bianco e nero ceda il passo al colore.

È la prova di un nuovo modo di essere cittadino, sicuramente più ricco, ma dove si avverte un senso di disperazione ed esapserazione.

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