Mancavano alla collezione. Però adesso ci sono anche le scuse «a sua insaputa» del sindaco Giuliano Pisapia. Quelle date ai milanesi rimasti a soffocare in metropolitana durante la macelleria dell'altro giorno. Perché lui, il sindaco, quel dovuto gesto di umiltà non lo vuol proprio concedere. Basterebbe poco. Un ossequio al galateo istituzionale (e imprenditoriale) per cui un capo si assume le responsabilità anche quando a sbagliare è un sottoposto. Poco più di un atto dovuto, di cui a prender nota è la cronaca e non sarà la storia. Non certo una macchia nella fedina di un amministratore. Eppure Pisapia non ascolta il consiglio che in tanti anche tra i suoi gli ripetono. Così ieri ai giornalisti chi gli facevano notare le scuse dell'assessore Pierfrancesco Maran, ha voltato la faccia e se n'è andato. Anche se è stato lui, appena arrivato, a far rotolare la testa del manager Elio Catania, fedelissimo di Letizia Moratti, per far posto a Bruno Rota. Difficile da difendere dopo che ha attribuito a «grande iella» il disastro. Così come è difficile spiegare l'ostinazione del sindaco. Tanto che a vedere i giornali di ieri la realtà sembra tutt'altra. «Metrò, le scuse del Comune», si leggeva. «Il Comune: ci scusiamo», il titolo di un altro quotidiano. E chiunque avrà pensato che Pisapia quelle scuse le abbia offerte sul monumento del pendolare ignoto. E incolpevole. E, invece, no. Solo scuse sui giornali «a sua insaputa», perché è difficile spiegare che il Comune che chiede scusa non è la stessa cosa di Pisapia che a quelle scuse nemmeno pensa. E non chiede conto ai vertici dell'Atm, l'azienda più importante della città di cui il Comune è azionista al 100 per cento. Padrone assoluto, dunque. E altrettanto assolutamente responsabile di errori e disservizi.
Davvero poco edificante anche lo scambio di sgarberie tra i Palazzi che ieri si son baloccati con gli insulti. Su Twitter il governatore Roberto Formigoni faceva notare che «secondo l'Atm il disastro di martedì a Milano è colpa della sfiga. La sfiga è di avere per presidente uno come Rota».
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