Cronaca locale

Il duo Cavani-Glejeses riscopre l'onestà secondo Pirandello

La regista dirige l'interprete del controverso Baldovino nella commedia dell'ipocrisia

Andrea Bisicchia

Prima di arrivare al Piacere dell'onestà, scritto per Ruggero Ruggeri, Geppy Gleiyeses si è cimentato altre tre volte con Pirandello, affrontando i personaggi di Liolà, Laudisi (Così è, se vi pare), Paolino ( L'uomo, la bestia, la virtù), ha cioè affrontato un percorso accidentato, costruito su forme diverse di comicità che ben si adattavano alla sua recitazione di «brillante». Con Baldovino egli sapeva di non avere alcun appoggio, se non quello di costruire, alla sua maniera, il personaggio, sempre mutevole, sia nello spirito che nel rapporto con gli altri. Il suo Baldovino non fa ridere, è troppo irretito nel bisogno di onestà a cui si è sentito chiamato, dopo aver condotto una vita scapestrata, quella di un nobile decaduto che si è dato al giuoco, logorando la sua intelligenza, la sua preparazione culturale, la sua stessa filosofia di vita, quella vita che gli era sfuggita e che, occasionalmente, gli viene ridata in una forma nuova e, forse, più sfuggevole. Gleijeses non ha alibi, ha capito che il suo Baldovino, Al Parenti dal 2 Maggio, è ben diverso da Laudisi, con cui si poteva concedere degli stacchi comici. Al contrario del cuoco che Leone Gala (Il giuoco delle parti) riteneva rovinato da Bergson, Baldovino è stato rovinato da Cartesio, anche per lui tutto ciò che è reale è razionale, per cui, quando si incontra col Marchese Fabio Colli, interpretato da Leandro Amato, la prima cosa che chiede è il parlar chiaro, ovvero la chiarezza della ragione. Come dire che, in certi casi, l'onestà è un dovere primario, specie se con essa debba essere salvata l'apparenza. Baldovino, contraendo il matrimonio, per camuffare la disonestà degli altri, intende essere un galantuomo, essendo questo il «ruolo» che dovrà assumere all'interno di una società ipocrita, meschina e anche crudele, come si rivelerà, nella seconda parte della commedia, quando, per liberarsi dell'intruso, lo si vuol fare passare per ladro. Per costruire il suo personaggio, Gleijeses ha dovuto lavorare sull'interiorizzazione, evitando facili ammiccamenti; ha insomma umanizzato il suo Baldovino, in una sorta di straniamento che rivela tutte le sfaccettature di un carattere, certamente tra i più difficili della sua lunga carriera, perché intriso di mistero, che, alla fine, realizza con assoluta maturità. Con questa consapevolezza si è affidato a Liliana Cavani, la quale è partita dallo spazio scenico, quello di un salotto borghese che ha voluto alquanto elegante, stilizzato, uno spazio ai limiti dell'astrazione, perché dentro sta per consumarsi qualcosa di altrettanto astratto, il piacere dell'onestà, appunto, per arrivare a scoperchiare un inferno familiare, dentro il quale, si muove della gente rapace. Più che a Strindberg, la Cavani ha pensato a un inferno domestico moderato, alla Bergman. Così, la sua Antita, interpretata da una intensa Vanessa Gravina, diventa protagonista involontaria di questo inferno, una madre dolente che accoglie il dolore di Baldovino, liberandolo dal paradosso della ragione in cui era caduto.

La regista ha evitato le facili attualizzazioni, spesso fuori luogo, di testi pirandelliani, ha cercato di essergli fedele, costruendo lo spettacolo come un triller, rispettando il dolore della madre (Tatiana Winteler) l'ipocrisia del marchese, e del cugino (Maxmilian Nisi); ma, soprattutto, l'umanità di Baldovino la cui storia, dopo essere diventato marito sul serio, non sappiamo come andrà a finire.

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