Via Pirelli, terzo piano, corpo basso. Uffici dell'Edilizia privata. È qui che il Comune decide chi, cosa, come e quando può essere costruito in città, almeno per quello che riguarda gli interventi maggiori (al secondo piano per quelli minori). È qui che gli architetti presentano i progetti, si viaggia a un ritmo di 200 pratiche al giorno. Ed è qui che i tecnici del Comune valutano - o almeno dovrebbero - se quello che viene proposto segue leggi, regolamenti, circolari e disposizioni interne. Ed è sempre qui che, lungo il corridoio sono accatastati pacchi di carta, domande, permessi, progetti, tavole e disegni legati con nastri rossi e verdi. Uno sopra l'altro, alti un metro da terra, quintali di carta tappezzano il corridoio davanti alle stanze dei geometri, e l'accumulo prosegue negli uffici dei vari tecnici, sulle sedie, sui mobili, dietro le porte, incastrati sotto i mobiletti. Il mercoledì mattina gli architetti possono mettersi in coda, e, senza appuntamento, chiedere informazioni sull'avanzamento dei loro lavori (una di quelle pratiche accatastate) e confrontarsi con i tecnici per districarsi tra centinaia di codici e codicilli. Ai quali c'è da aggiungere pure «le deroghe» alle norme. Tipo: ad esempio il regolamento a proposito delle fognature si rifà alla legge del 1921 che obbliga a fare tubazioni in «gres». Un materiale che ormai non viene più utilizzato da decine di anni ed è stato sostituito col «pvc». La norma non è stata cancellata: derogata. Il nuovo regolamento edilizio è in attuazione del Pgt approvato a novembre del 2012. «Siamo già in ritardo di un anno - spiegano Rognoni e Rosada che fanno parte della Commissione interprofessionale per i rapporti con le Istituzioni - hanno preventivato sei mesi per approvarlo e si tengono ancora un anno per adeguarsi. Ma noi intanto come facciamo a lavorare? Quali regole dobbiamo seguire». Gli architetti che il mercoledì mattina in questi uffici sono tutti in piedi per delle mezz'ore in attesa di essere ricevuti, lamentano anche la difficoltà ad avere risposte certe: «Vai da un tecnico e ti dice una cosa. Torni la settimana dopo, vai da un altro e ti dice una cosa diversa». Troppe regole insomma lasciano il campo alla discrezionalità. E con i nuovi «strumenti» le norme sono lievitate a dismisura: 714 pagine di Pgt oltre alle previste 270 di regolamento edilizio, sono la base su cui devono lavorare. Risultato? 30 chili di carta per presentare un permesso per costruire un nuovo edificio. Una valigia tanto per dare un'idea. «Da ottobre per spostare un muro ho dovuto riempire il modulo più semplice che c'è: 10 pagine scritte fitte fitte», racconta Rosada. All'Ordine c'è la fila degli architetti in difficoltà. «Semplificazione» è la parola che ripete Clara Rognoni presidente della commissione. «In America hanno un unico regolamento dal Canada al Messico. Noi non riusciamo neppure ad avere le stesse norme da Milano a Monza». Invece di complicare le regole in città, a suo parere «bisognava cogliere l'occasione per dare regole uniformi, chiare e certe a tutta la regione». Anche solo partendo dalle cose semplici, tipo una modulistica unica. Invece prendiamo ad esempio il certificato urbanistico. Si tratta di un documento fondamentale per costruire. È una sorta di «carta di identità» in cui viene specificato quello che può esser fatto su quel dato terreno. «Chi deve acquistare - spiegano gli architetti - vuole sapere per tempo cosa può realizzare.
Per legge il Comune dovrebbe rispondere in 30 giorni. Invece ci mette otto mesi». Non solo. «Se dopo 8 mesi non arriva la risposta - continua Rognoni - il Comune ti dice fattelo tu architetto il certificato e ti scarica addosso anche questo problema».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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