Mentre si contavano (lentamente) i sì al referendum per l'Autonomia ma emergeva già con chiarezza che oltre il 95 per cento dei votanti aveva promosso la battaglia per trattenere più risorse e competenze in Lombardia, il governatore Roberto Maroni nella prima uscita notturna in tv spiegava le mosse. E «nella delegazione con cui andrò a trattare col governo - ha detto a spoglio ancora in corso - mi piacerebbe ci fossero anche i sindaci Pd per il sì, come Giorgio Gori» che ha fondato il comitato degli amministratori di sinistra a favore della consultazione, pur con mille distinguo. «Avere dalla nostra parte sindaci del Pd nel trattare con un governo di centrosinistra - ha confermato Maroni - penso sia utile. Con Beppe Sala ho un ottimo rapporto, ma non è andato a votare, è difficile che sia nella squadra» ha buttato lì quasi come rimprovero al sindaco di Milano che aveva annunciato il sì ma domenica non si è presentato alle urne, impegnato a Parigi per il vertice C40 sull'ambiente. Ma Sala ha colto la palla al balzo per sfilarsi dalle trattative. «Non l'ho mai chiesto e non ha nemmeno senso - ha dichiarato ieri - penso sia meglio che partecipi Gori. Io ho già tanto da fare». Che a Milano l'affluenza al voto sia stata bassissima - la Città metropolitana è stata il fanalino di coda tra le province lombarde, è andato alle urne il 31,23% degli aventi diritto contro il 38,4 della media regionale e addirittura il 47,37% della «capolista» Bergamo, nel capoluogo poi la partecipazione si è fermata al 26,41 per cento - ma è un pò azzardato ritenere che la presenza del sindaco del capoluogo (e della città metropolitana) fosse un nonsense.
Anche se ai tempi del ballottaggio tra Sala e lo sfidante del centrodestra Stefano Parisi l'affluenza fu appena del 50,1 per cento (un milanese su due restò a casa) il sindaco ritiene che il 38,2 per cento degli elettori lombardi trascinati alle urne per un referendum promosso, fattivamente, solo dai partiti di centrodestra sia «un'affluenza non altissima, ci si poteva aspettare un pò di più». Ammette però che «un punto lo segna, la richiesta di più considerazione e autonomia da parte del nord. Io la interpreto più come autonomia gestionale, che si riflette anche in più risorse, qualcun altro la interpreta come una richiesta di lavorare sulle tasse e io sono d'accordo. Si deve fare un percorso di dialogo con il governo ed è un bene che Maroni abbia preso subito le distanze dal collega del Veneto Luca Zaia» che ha proposto invece una legge di iniziativa popolare per trasformare il veneto in regione a statuto speciale. «Zaia - ha incalzato Sala - sta facendo un discorso pericolosissimo, non possiamo immaginare un futuro in cui ognuno si stacca. Le tasse che ci piaccia o meno danno un riequilibrio solidaristico e sociale al Paese e questo è un principio della democrazia, dire ci teniamo tutte le tasse è puro slogan».
Sedere a un tavolo di trattativa con il governo, forse, avrebbe un senso anche per ragionare sulle riforme e il riordino delle competenze ancora «impallate» dopo la cancellazione della Provincia. Giusto ieri Sala ha riunito gli Stati generali della Città metropolitana chiesti dal centrodestra prima della votazione al Bilancio 2016. É stato approvato un documento bipartisan che chiede al governo certezze sul fronte finanziario dell'ente. Per Graziano Musella, consigliere metropolitano di Forza Italia, «i risultati importanti del referendum lombardo hanno dimostrato che i cittadini credono nelle autonomie, regionali ma anche locali.
É urgente una riforma della riforma (fallita) della legge Delrio. Ed è ora che Sala si decida a rivestire anche il ruolo di sindaco della Grande Milano e si faccia sentire a Roma». Anche se, come ha riferito, ha già «tanto da fare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.