Ha 144 anni, come Guglielmo Marconi e Harry Houdini, e si chiama Milano, ma è tutto meno che una metropoli: ha 428 abitanti come Borgoratto Marmorolo, provincia di Pavia, o Cassina Valsassina, in provincia di Lecco, volendo potrebbero stare tutti dentro lo Spazio Arena. È lontana quasi novemila chilometri dalla Madonnina, sperduta nel Texas, contea di Milam, a due passi da Austin, la capitale, per Wikipedia è famosa solo perché qui, investito da un automobilista ubriaco, morì Johnny Horton, uno dei padri del country.
Sta all'incrocio tra la U.S. Highway 79 e la State Highway 36, non c'è la via Gluck di Celentano e nemmeno la Porta Romana di Gaber, ma ha un bel po' di movimento ferroviario, una strada trafficata e una squadra di football americano, gli Eagles, fatta di liceali. Ci poi sono un negozio di alimentari, un benzinaio, un ristorante e un'azienda che lavora la pelle. E poi, ovviamente, la scuola, il principale datore di lavoro del paese. È un posto dove si conoscono tutti e dove tutti si prendono cura di tutti. Al punto che non esiste quasi più, per volontà del popolo, nemmeno il dipartimento di Polizia: costava troppo per il manipolo di coraggiosi che abita il paesino.
Milano è figlia della ferrovia e della sua storia, una storia minima, quasi come quelle di Walter Valdi: a nascere insieme alla città furono l'ufficio postale e la chiesa battista. Il resto con il tempo, compreso il saloon. La classica prima pietra la misero giù nel 1874, quando in questa Milano Giuseppe Verdi celebrava con la Messa da requiem, nella chiesa di San Marco, il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. A posarla l'International-Great Northern, poi le ferrovie nel 1881 costruirono un secondo binario, battezzandolo Milano Junction. Il primo lo chiamarono Old Milano. Ha questo nome, dice qualcuno, perché il clima sarebbe simile al nostro, altri spiegano che fu un errore dell'ufficio postale a tenere a battesimo il posto: una mano sconosciuta scrisse Milano invece di Milam, il nome della contea. E così fu Milano for ever.
Come racconta Alberto Giuffrè nel suo libro Un'altra America, non è la sola città italiana che ha un clone nella terra dei liberi: ci sono anche Roma e Palermo nel Nord Dakota, Napoli in Florida e Firenze in Alabama. Milano però di cloni ne ha più di una quindicina: una sta nell'Ohio, Stato che per Forbes ha la capitale, Cleveland, più deprimente d'America. Più prestigioso perché ha più del doppio degli abitanti e perché qui, come ricorda ogni cartello piazzato per strada, è nato l'inventore della lampadina, Thomas Alva Edison. Però si chiama Milan, pronuncia Màilan, non Milano come quella texana, ed è anche qui poco più di un villaggio. Un solo semaforo, niente McDonald's, niente Starbucks, una barberia Sipe's hair shop, dedicata a Brian Sipe, ex quarterback dei Cleveland Browns di football americano e, racconta Giuffrè, un mega orto dove crescono centinaia di verdure, il Culinary Vegetable Institute che ospita cuochi da ogni dove.
C'è una
Milano, o meglio una Milan, in sedici stati americani: la più popolosa è quella dell'Illinois, 5350 abitanti, la meno è nel Kansas, 137 anime. Milano piovute dal cielo, sotto terra o sulla luna. Ma questo è Dalla, non Dallas...
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