Ecco perché ha fallito il sistema di accoglienza dei profughi a Milano

Il centro di via Sammartini è un dormitorio E il caos danneggia migranti e residenti

Michelangelo Bonessa

Un sistema fallimentare di cui beneficiano in pochi. E tra questi non ci sono né i migranti, né i milanesi. Sull'immigrazione a Milano si naviga a vista. Con risultati spesso scadenti: il degrado è una delle conseguenze. Grazie a un'opera d'arte, la Mela di Michelangelo Pistoletto, anche i grandi giornali hanno capito che l'emergenza è una realtà quotidiana. L'immagine dei bivacchi sotto quella che dovrebbe essere uno dei fiori all'occhiello della piazza davanti alla stazione Centrale ha scosso gli animi. Sembra però solo un sintomo di un'organizzazione che fa acqua da tutte le parti.

Basta parlare con la trentina di persone che gestiscono l'hub di via Sammartini, dove arrivano tra le 160 e le 200 persone al giorno e si distribuiscono quotidianamente 600 pasti: nato come un centro di transito e di smistamento dei flussi, è diventato un dormitorio. E i numeri degli ospiti sono talmente oltre la capacità della struttura, in teoria 75 contro circa il triplo attuale, che le zone verdi adiacenti stanno diventando un accampamento. Situazione che mette in allarme i residenti delle vie circostanti, ma che non sembra avere una soluzione: «I flussi, come ogni estate, sembrano destinati ad ingrossarsi - spiegano i responsabili del progetto Arca che gestisce l'hub - di solito il fenomeno ha questa tendenza fino a ottobre». Intanto un'altra parte di milanesi riempe i magazzini portando in dono quintali di vestiti e altri materiali. Ma non basta mai.

«Il problema è che è stato snaturato il centro - attacca Samuele Piscina, neo presidente leghista del municipio 2 - il Comune dovrebbe decidersi a dare uno stop al governo: qui non c'è più posto». E che la rete di accoglienza sia al collasso lo hanno denunciato da più parti anche esponenti politici di destra come di sinistra. Che sono anche l'unica categoria che sta ottenendo qualcosa dal caos generale che (non) governa l'emergenza: diversi si sono ritagliati un ruolo sulla scena locale e nazionale proprio parlando della questione. Le polemiche sono state molteplici, l'ultima sull'utilizzo o meno del campo base di Expo, con anche un assessore milanese di primo piano che si è beccato una denuncia per diffamazione da un'associazione di commercianti per una delle tante querelle sull'immigrazione che lo hanno visto protagonista. Intanto il degrado avanzava, sconvolgendo la quiete di molte zone come quella della Centrale.

Mentre qualcuno litigava, il sistema continuava a essere fallato gravemente su molti aspetti, come sulla gestione dei fondi: sono usciti decine di milioni di euro dalle casse pubbliche con procedure spesso forzate, come rilevato mesi fa all'Autorità nazionale anti corruzione. Ma alla fine, dagli approfondimenti, non sono emerse irregolarità tali da portare a ulteriori conseguenze.

Intanto in stazione si incrociano decine di persone allo sbando come Nadje, siriano di 35 anni. È scappato da Damasco un mese fa e ieri è arrivato a Milano. Attacca bottone chiedendo una sigaretta. Cerca soldi per raggiungere la Francia. E non si fida del centro di accoglienza: «Non ci sono siriani - spiega in inglese - sono soltanto africani dell'Algeria della Tunisia e afghani e pachistani».

Altro aspetto non di poco conto: tra Sammartini e stazione Centrale si incontrano tanto i visi lunghi e magri di etiopi e eritrei, moltissimi tra i sedici e i diciassette anni perché sfuggono alla leva

obbligatoria del loro Paese, e quelli tondi di chi arriva dall'Africa nera. Poi ci sono siriani e altri asiatici. Ognuno con idee e culture diverse, spesso difficilmente compatibili tra loro. Anche in questo caso si naviga a vista.

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