Si chiama «eutanasia nascosta», è molto più semplice di quel che si può immaginare. Non servono cliniche né medici compiacenti. Basta ridurre quantità e qualità del cibo, chiudere o anche solo allentare i rubinetti dell'acqua, sospendere farmaci indispensabili. E la morte arriva, come un crudele abbandono da parte di chi si prende cura di te.
«È un fenomeno che esiste e la società è chiamata a farsi carico di questa nuova realtà, che purtroppo si va diffondendo» spiega il professor Giovanni Meola, ordinario di neurologia alla Statale, primario di neurologia al Policlinico San Donato, presidente della sezione milanese dell'Associazione medici cattolici. Aggiunge: «Per noi che viviamo ai confini con la Svizzera, dove ci sono cliniche in cui prevale tutt'altra mentalità, l'influenza culturale è potente».
L'Amci si riunirà sabato a Milano presso le Suore di Maria bambina per dibattere questo tema, sempre più di attualità. Il titolo del convegno è «I bisogni dell'anziano» e alla giornata di studi parteciperanno esperti del calibro dei professori Alfredo Anzani, del San Raffaele, e Carlo Vergani, del Policlinico. Anche Papa Francesco di recente ha parlato di «falsa compassione», figlia della «cultura dello scarto», che si spinge all'eutanasia nascosta in famiglia e negli ospedali. Attenzione - dicono i medici dell'Amci -, nel giro di pochi anni in Lombardia ci troveremo 3-400mila anziani da curare: «Ma non sono malati, sono anziani. Essere anziani non è una malattia».
Eppure, ammette lo stesso professor Meola, spesso il carico di solitudine è pesante, così come le difficoltà per le famiglie, anche perché il modello di cura dell'anziano è antiquato e scorretto: «Ma sono contrario all'eutanasia nascosta: noi dobbiamo affrontare il problema e non eliminarlo. E la soluzione è in un nuovo approccio alla cura, più moderno e al passo con la scienza». Per essere concreti? «Un bambino, un giovane, un adulto, di solito ha una sola patologia. Invece con gli anziani dobbiamo approfondire la polipatologia: i danni degli anziani coinvolgono più organi. Serve un approccio multifattoriale, più moderno, ma anche affascinante e ricco di prospettive per tutti, perché prevede una visione olistica: siamo un tutt'uno dal punto di vista fisico, psicologico, spirituale».
Mandarli tutti da uno psicologo? Il professor Meola nicchia: «Non hanno tutti bisogno di uno psicologo, ma di vivere in un ambiente sereno e non sentirsi un rifiuto. Spesso è sufficiente una corretta alimentazione, ricca di proteine, attività fisica e una terapia cognitiva. Non grandi cose: uno stimolo della memoria che possono fare conoscenti e amici. Parole crociate, libri, giochi, ipad, internet, corsi dove vengono stimolati, sono medicine molto efficaci». E poi il dialogo, il rispetto e l'ascolto da riscoprire: «Ritrovare il gusto di stare con un anziano. Soprattutto se saggio, ci può aiutare, dare consigli, essere un faro di saggezza». Insomma, amare i nostri vecchi.
La rivoluzione riguarda le famiglie ma anche le strutture sanitarie: «Siamo in presenza di un popolo di vecchi e dobbiamo entrare nell'ottica di un'assistenza continua. Bisogna ptenziare i medici di base: la maggior parte dei malati finisce al pronto soccorso e potrebbe essere gestito dal medico. E il medico di base deve essere educato a dare il giusto valore alle polipatologie e incentivare le visite a domicilio».
Infine, ma non meno importante: «Non ghettizzare, se possibile, in case di riposo: lasciarli nei loro contesti familiari. Se si entra nell'ottica che le famiglie hanno un aiuto economico da Comuni e Stato, può essere una strada più semplice».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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