Faida tra clanla nuova mala

Da un lato una versione minimalista e per alcuni aspetti confortante, quella di un delitto di quartiere maturato tra spacciatori (aldilà dei cognomi) di basso livello. Dall'altro, l'ipotesi investigativa che in queste ore circola con insistenza, e che colloca la morte di Emanuele Tatone in uno scenario di spessore ben maggiore, la grande, eterna lotta tra i clan del crimine organizzato per spartirsi Milano. «Questa è roba seria», dice ieri pomeriggio un veterano di queste indagini. Tanto che il fascicolo sul duplice delitto di via Vialba è stato preso in mano dal pool antimafia di Ilda Boccassini. Un riguardo impensabile, se fossimo davanti a un regolamento di conti tra pusher.
L'attenzione della Boccassini e dei suoi pm su quanto accade a Quarto Oggiaro non si è mai spenta, nella convinzione che negli equilibri generali dei clan a Milano quanto accade oltre il ponte di via Palizzi pesi oggi come ieri. Così nei file riservati delle inchieste aperte in questi mesi sono molte le tracce che portano a Quarto Oggiaro. Nel mirino ci sono i nomi storici: i Crisafulli, i Tatone; e rampanti come Francesco Castriotta detto «Gianco», l'unico latitante di spicco della sua generazione, uscito miracolosamente dal carcere grazie a una malattia assai singolare (priapismo, ovvero erezione quasi permanente, per cui si presentava in udienza con il ghiaccio sulla patta dei pantaloni) e sparito. Ma Castriotta anche dalla latitanza continua a fare sentire la sua voce, attraverso i suoi luogotenenti sopravvissuti alle retate.
É un tema ricorrente, a Quarto Oggiaro, questo dei signori-ombra, dei boss che ufficialmente nel quartiere non vivono, ma è come se ci fossero. Il caso più vistoso è quello dei due fratelli Crisafulli, Alessandro e soprattutto suo fratello Biagio, detto Dentino, per anni controllori assoluti della zona. «Dentino» e il fratello sono in galera. Ma dalla galera i loro ordini arrivano chiari e forti in quartiere. A Quarto Oggiaro, d'altronde, continuano a vivere le loro mogli e le loro famiglie. E a Quarto Oggiaro una voce circola da tempo: che i Crisafulli avrebbero fatto sapere chiaramente a «Gianco» Castriotta e ai suoi che per loro la piazza era irrimediabilmente chiusa. Fuori dalle scatole, sparire. A rappresentare la longa manus dei Crisafulli erano stati designati i «fratelli Banderas», come sono soprannominati con gusto un po' greve i Tatone. Emanuele, il morto ammazzato dell'altro ieri, e i suoi familiari.
A Quarto Oggiaro tutti sanno che a «Gianco» la scelta dei Tatone come reggenti della zona non è andata giù. «Quei rottami», li avrebbe definiti. D'altronde «Gianco» è un quarantenne sveglio e concreto, che non ha conosciuto i tempi bui in cui l'eroina seminava morte e degrado tra gli stessi rampolli dei clan. E che i Crisafulli, alla cui ombra pure lui è cresciuto, puntassero su gente come i «Banderas», su una famiglia ormai anziana e segnata dalle intemperie della vita, è sembrato uno sgarbo indigeribile.
É questa tensione sottotraccia la chiave di lettura per quanto accaduto a Quarto Oggiaro negli anni scorsi, con l'ammazzamento di un rampollo importante come Francesco Carvelli, prelevato da un commando di falsi poliziotti e giustiziato alle Groane, e l'uccisione di Francesco Crisafulli nel 2009. Ed è anche lì dentro che si cerca la chiave per capire il brusco ritorno al fuoco delle armi. Non era mai stato un vero boss, Emanuele Tatone, e tanto meno lo era adesso. Ma era un Tatone.

E tutti a «Quarto Raggio» sapevano che attaccare lui voleva dire attaccare la sua famiglia, e di conseguenza i Crisafulli. Non sarà più la Milano calibro 9 di una volta, dove uno sgarro simile avrebbe innescato una guerra interminabile. Ma non ci si può aspettare che la cosa finisca qui.

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