Chat di ragazzini che si scambiano foto senza freni. Storie di ogni ora e ogni minuto. Sembrano solo un modo di essere grandi e disinibiti. Invece spesso finiscono in lacerazioni psicologiche, drammi della solitudine, vicende oscene con finali in circuiti di pedopornografia e aule di tribunale. In casi estremi sono suicidi tentati o drammaticamente riusciti, quando la vergogna e lo sconcerto travolgono la fragilità dell'adolescenza.
Non sono solo numeri, ma servono anche loro a dare la dimensione in crescita continua di immagini che corrono da uno smartphone all'altro, alla velocità di social sempre più difficili da controllare. Così, secondo la ricerca condotta da Pepita Onlus su un campione di oltre mille ragazzi e ragazze da ogni parte d'Italia tra gli 11 e i 20 anni sul sexting (termine che nasce dalla contrazione sex-texting, messaggi sessuali) e aggiornata con 4 focus group realizzati in 20 oratori e in 3 scuole lombarde, il 35% degli intervistati ha inviato messaggi o foto o video a contenuto sessuale. La percentuale si impenna su chi apre il telefono e trova l'immagine hot: il 49% degli intervistati ha ricevuto questo tipo di messaggi. I dati sono in linea con quelli nazionali. «La corteccia prefrontale, ancora non del tutto sviluppata negli adolescenti, è responsabile della capacità di controllare gli impulsi, di risolvere i problemi e di prendere le decisioni.
In questa condizione fisiologica, dunque, l'adolescente non è in grado di prevedere le conseguenze» spiega la psicoterapeuta Miolì Chiung. Eppure, secondo Ivano Zoppi, presidente di Pepita, il sommerso è ancora più profondo di quel tanto che già si vede.
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