Nove anni di carcere per la prima foreign fighter italiana dell'Isis. È la richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e del pm Paola Pirotta nel processo contro Maria Giulia Sergio, alias Fatima, accusata di essere partita per arruolarsi nel sedicente Stato islamico. La ragazza di Inzago, latitante, si troverebbe ancora in Siria.
A processo con Fatima ci sono il marito albanese partito con lei Aldo Kobuzi (chiesti 9 anni), la donna di origine canadese Haik Bushra (9 anni) che avrebbe avuto un ruolo decisivo nell'indottrinamento della ragazza italiana e della sorella Marianna, già condannata con il rito abbreviato a cinque anni. Ancora: la suocera di Fatima, Donika Coku (8 anni), la cognata Serjola Coku (8 anni) e il padre Sergio Sergio. Quest'ultimo è l'unico degli imputati a non essere fuggito, si trova agli arresti domiciliari. L'uomo è accusato di aver organizzato e finanziato, su forti pressioni delle figlie, il viaggio della propria famiglia verso il Califfato con finalità terroristiche. Per lui la Procura ha chiesto tre anni e quattro mesi, riconoscendogli le attenuanti generiche: avrebbe avviato un «meccanismo di autocritica molto forte». Tutti gli altri rispondono di terrorismo internazionale, per gli inquirenti fanno tuttora parte e senza ripensamenti dell'Isis.
L'indagine e il processo hanno messo in luce aspetti inediti sul proselitismo del Califfato in casa nostra. Parliamo del periodo tra la fine del 2014 e la prima metà del 2015, quello di massima espansione dello Stato islamico. Nella seconda parte delle requisitoria ieri Romanelli (da poco trasferito alla Dna) ha evidenziato l'importanza «simbolica e reale» della partenza di intere famiglie per il territorio del Califfato. L'Isis le richiama, ha spiegato l'aggiunto, «perché costituiscano la struttura sociale dello Stato islamico e ne assicurino la stabilità futura». Compresi le donne incinte e i bambini, i futuri combattenti. «Siamo di fronte per la prima volta - ha continuato - a un'organizzazione terroristica che è anche uno stato. Le famiglie che vi si trasferiscono e seguono la sharia sono fondamentali. Per questo un foreign fighter vale di più se arriva con la moglie». Come Fatima con Aldo, diventato Said. In questo quadro si inserisce la funzione centrale delle donne. «Combattere non è loro permesso - ha spiegato Romanelli -, perché sotto il califfo non può esserci uguaglianza di genere sulla via per il martirio e per il paradiso. Fatima però in Siria si addestra all'uso delle armi, lo racconta nelle telefonate alla famiglia che dovrà raggiungerla». Dice Fatima: «La jihad è l'azione più grande e meritoria. Spero ogni giorno che il califfo dia l'autorizzazione alle donne» a battersi. «Le donne però hanno una missione altrettanto importante, quella di indottrinare altre donne», ha aggiunto il pm.
Il difensore di Sergio, Erika Galati, ha sottolineato come l'uomo fosse «plagiato» dalle figlie e come volesse partire «per raggiungere Maria Giulia» e non per diventare un jihadista. Marianna in una lettera dal carcere rimprovera al padre di aver «tradito l'islam» e di aver «rinnegato le sue figlie». Nella prossima udienza, il 19 dicembre, è attesa la sentenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.