Per favore niente Expo politically correct

Preferisco la colata di cemento. Accantonato il tormentone su «fondi» e «poteri», l'incerto bastimento dell'Expo ora naviga nelle insidiose acque dei «contenuti». In sostanza, ci si chiede, se il tema è «Alimentare il pianeta», come lo affrontiamo, come lo presentiamo al mondo e ai presunti 30 milioni di visitatori? Se ne è parlato alla due giorni di Stati Generali sull'Expo al teatro Dal Verme. L'impressione è che abbiamo finito per prevalere i soliti temi del politicamente corretto, con tutta la loro vaghezza e indeterminatezza: lo sviluppo sostenibile, l'ambiente, il verde, la solidarietà, l'integrazione, il welfare, la cultura e piste ciclabili ovunque. Il tutto naturalmente a misura d'uomo e perfino di bambino. Nobili banalità accompagnate da una sola condivisa e perentoria certezza: no alla colata di cemento! Lo stesso tono e la stessa pendenza minimalista prende sempre il dibattito più generale sul futuro di Milano, il suo posto fra le metropoli europee, il suo ruolo in Italia e nel mondo: va bene tutto ma, per carità, assolutamente no alla colata di cemento.
Ebbene, la ragione principale per la quale ho esultato il 31 marzo dell'anno scorso quando il Bie di Parigi assegnò a Milano l'Expo del 2015 è stata di segno esattamente opposto: finalmente - pensai - dopo troppi anni di stasi e di pigrizia, la città si muove, cambia, costruisce, si ingrandisce, cresce. Battendo l'ideologia del «non si fa, non si tocca», liberandosi dei troppi vincoli, veti e pastoie burocratiche-amministrative-giudiziarie, in barba ai paralizzanti pregiudizi pseudo-ambientalisti, ridicolizzando l'ideologia del «piccolo è bello e povero è ancora meglio». Qualcuno forse avrebbe dovuto spiegare al pubblico del Dal Verme e agli intellettuali, architetti, scrittori e sociologi impegnati nel dibattito sulla città che Milano non è Pavia o Novara. Che ha una funzione e una missione storica diversa e che perciò deve crescere. Cioè accogliere la colata di cemento.

La vera malattia di Milano oggi è questa: una parte della popolazione, minoritaria ma rumorosa, pensa di vivere (preferirebbe vivere) non in una metropoli internazionale ma in un tranquillo borgo di provincia. Ebbene, una Milano così non serve al Paese e neppure ai milanesi. Perciò io al minimalismo preferisco la colata di cemento.

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