Fondi anti-aborto, ventimila firme per difendere il Cav Mangiagalli

La richiesta è forte: non modificare in senso restrittivo i criteri di assegnazione del fondo Nasko, istituito dalla Regione per sostenere le donne in difficoltà economica che decidono di non abortire. A lanciare l'appello, in una lettera aperta al presidente della Regione, Roberto Maroni, e all'assessore regionale alla Famiglia, Maria Cristina Cantù, è il Centro di aiuto alla vita (Cav) che opera nell'ospedale Mangiagalli di Milano, uno dei più attivi. Una richiesta supportata da «più di 20 mila firme raccolte contro i provvedimenti» annunciati da Palazzo Lombardia nei giorni scorsi e ritenuti dal Cav «discriminatori».
A far discutere, in particolare, è l'idea di modificare il requisito della residenza, che dovrà essere di 5 anni e non più di uno. L'assessorato aveva anche segnalato che, nei 3 anni di sperimentazione, degli oltre 18 milioni spesi tra il fondo Nasko e il fondo Cresco (per garantire un'alimentazione sana a mamme e bebè in condizioni di povertà), il 75% è finito a extracomunitari. Dichiarazioni che avevano alimentato la polemica contro la leghista Cantù.
Ora Paola Bonzi, direttore del Cav Mangiagalli, torna all'attacco e nella lettera esprime «fortissimo disagio» per la decisione della Regione di procedere con le modifiche. Nel mirino del Cav milanese finisce anche l'ipotesi di abbassare la soglia del reddito Isee a 7.

700 euro dagli attuali 12 mila. Molte studentesse, infatti, che possono contare su un reddito familiare più elevato, non potrebbero più rivolgersi al Cav per chiedere un aiuto che le renda autonome e consenta loro di non abortire.

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