
«Giuro sui miei figli che non ho il bisogno di difendere me come persona ma il dovere di difendere la mia azienda». Era un fiume in piena ieri Vito Gamberale, il numero uno del fondo F2i. Anche se la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura della Repubblica non deve essergli piovuta addosso inaspettata, per Gamberale la chiusura delle indagini è l'occasione per rompere il silenzio. E per cercare di convincere il mondo che l'intero pasticcio dell'asta per la privatizzazione della Sea da parte del Comune di Milano, che lui è accusato di avere truccato in combutta con l'indiano Vinos Sahai, è una storia «inesistente come materialità». Tradotto: non c'è reato. E fa capire di attribuire una parte dei suoi guai allo scontro furibondo interno alla Procura di Milano, da una parte il procuratore Bruti, dall'altra l'aggiunto Robledo, in mezzo il fascicolo di indagine sull'affare Sea tirato di qua e di là, dopo che Bruti se l'era dimenticato un paio di mesi in cassaforte. «Siamo strumenti di una contrapposizione», dice Gamberale.
La sostanza, per il capo del grande fondo di investimenti, è che la «proposta non vincolante» di acquisire una parte degli aeroporti milanesi venne avanzata da F2i il 28 ottobre 2011, e indicava un valore della Sea inferiore del 39 per cento a quello che poi il Comune pretese e incassò. Insomma, un affarone per la collettività, un sacrificio per F2i, tant'è vero che nel consiglio d'amministrazione del fondo ci furono delle titubanze ad andare avanti. Ma poi si decise di fare uno sforzo, anche per «solidarietà» verso il Comune di Milano che se non fossero entrati quei soldi rischiava la bancarotta. Così nacque la famosa offerta, con il rilancio di un euro sulla base d'asta, con cui F2i (rimasta unica concorrente dopo l'estromissione dell'indiano) si aggiudicò il 29,9 per cento di Sea.
Certo, rimangono alcuni passaggi opinabili. Prima tra tutte, l'intercettazione del luglio 2011 tra Gamberale e il suo manager Maia, in cui si parla esplicitamente di un bando cucito su misura: «Scherzavamo. Era una telefonata tra il serio e il faceto». Una battuta, insomma, che solo un «giacobinismo di ritorno» può trasformare nella prova di una gara effettivamente truccata. O l'incontro del settembre 2011 tra Gamberale, l'assessore al Bilancio Bruno Tabacci e il suo advisor Alessandro Profumo, ovvero i grandi registi dell'operazione di privatizzazione Sea: «E dove sarebbe il reato? Stavamo preparando la nostra offerta, è normale che effettuassimo dei sondaggi». O la scomparsa in extremis dal bando di gara, nel novembre 2011, delle azioni Serravalle dal pacchetto messo in vendita. Un favore a F2i a sua insaputa: «Fu una decisione autonoma del Comune».
Certo, c'è il problema del fascicolo d'inchiesta arrivato da Firenze e rimasto a dormire nella cassaforte di Bruti proprio nei mesi cruciali dell'affare: «Ma anche se avessero indagato da subito, non avrebbero scoperto niente, perché niente c'era da scoprire».
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