Gori snobba la capitale: "La Lombardia non è Milano"

Tour in cento tappe del candidato del centrosinistra Cerca l'intesa con Grasso: «Idee comuni, lo chiamerò»

Gori snobba la capitale: "La Lombardia non è Milano"

«La Lombardia non è solo Milano» è il senso di questo giro della regione in cento tappe che il candidato del centrosinistra, Giorgio Gori, ha presentato ai giornalisti nella sede del Pd di via Pergolesi. In giro con il candidato, i giovani Luca e Cecilia e altri ragazzi come loro, tra i ventidue e i ventisette anni.

Quasi superfluo dire quanto il tour ricordi il giro d'Italia in treno di Matteo Renzi e d'altra parte, ai tempi della prima Leopolda, i due erano una coppia politica di fatto. Da allora lo stile è uguale ma è cambiato il mondo. E si tratta di capire se Gori in Lombardia riuscirà lì dove a Roma il Pd ha fallito: convincere il presidente del Senato, Pietro Grasso, a sostenere la corsa per Palazzo Lombardia con la sua neonata lista, «Liberi e uguali». Gori assicura che cercherà di incontrare Grasso prima possibile: «Non vedo differenze tra noi e Liberi e uguali».

Forse il collante è il comune impegno antifascista a Como? Il candidato assicura di non volerla buttare sullo scontro ideologico. Anzi, oltre a spingere contro l'election day che sovrapporrebbe temi politici e amministrativi, fa l'ecumenico: «Como è stato un fatto positivo e mi sarebbe piaciuto se ci fossero stati anche esponenti del centrodestra e dei 5Stelle. Ma non intendo puntare su questo».

Per l'intesa è pronto a molto ma non a tutto. Chiama «amici» e addirittura rispolvera il più vetusto «compagni» per gli esponenti di Mdp, ma al contempo non ritiene necessario un accordo a tutti i costi. «Non considero esiziale se stanno fuori» dice, perché in Lombardia «bisogna prendere il 5 per cento» (la soglia di sbarramento alle elezioni regionali, ndr) e così, secondo Gori, gli altri vanno incontro al rischio di restare fuori. Ecco lo spauracchio: «Se a livello nazionale si può decidere dopo, in Lombardia le alleanze vanno chiarite prima. O si vince insieme o c'è Salvini».

Così eccolo partire per il tour della Lombardia in cento tappe, tra le quali venticinque speciali: sono quelle in cui, alle regionali del 2013, il candidato del centrosinistra, Giorgio Ambrosoli, è andato peggio («perché è partito tardi e ha potuto concentrarsi solo sui comuni capoluogo», spiega). La prima tappa è Valdidentro, in provincia di Sondrio, meno venticinque punti da Maroni nel 2013 dal punto di vista elettorale. Se ci spostiamo sulla carta geografica, Valdidentro è simbolicamente equidistante tra Milano, Innsbruck e Zurigo ed è il secondo comune per estensione in Lombardia dopo Livigno. Ma Valdidentro ha quattromila abitanti. Insomma, si parte dal piccolo.

Le frasi snob verso la grande Milano non mancano. «Non ho la tentazione di concentrarmi sul capoluogo della Regione perché sono bergamasco» dice. E in polemica con Roberto Maroni: «Milano è una cosa, la Lombardia tutta un'altra e la parte della Regione che non si vede dalle vetrate di Palazzo Lombardia non è la Silicon Valley di cui parla il presidente della Regione». Ancora: «Ci sono moltissime diseguaglianze in Lombardia, soprattutto nel sud ovest, a Mantova, Lodi e Cremona, che soffrono ancora tanto».

A un certo punto nasce spontanea domanda: intende dire che Milano ha già ricevuto troppo e deve rallentare? Lui si smarca: «Sono molto contento che a Milano sia stato dato molto e sono felice per Expo, ma il ruolo della Regione è tenere insieme dieci milioni di cittadini lombardi». Allora via alle cento tappe. Si parte tra la neve.

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