Cronaca locale

"Il governo deve capire che con il vino farà un sacco di soldi"

Il presidente del Movimento enoturistico spinge in Senato la legge che tutela il settore

"Il governo deve capire che con il vino farà un sacco di soldi"

L'enoturismo in Italia vale 2,5 miliardi di euro e sono almeno 13 milioni gli appassionati che hanno visitato una cantina nel 2016. Ma non esiste ancora una normativa che regoli accoglienza, ristorazione e visite guidate, momenti principali di questo fenomeno che ha frequenza quotidiana.

«Le grandi aziende vinicole riescono a cavarsela, ma le medie e piccole hanno difficoltà perché in quanto aziende agricole possono vendere solo ciò che producono, senza poter dedicarsi anche alle altre attività».

A spiegarlo Carlo Pietrasanta, il presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino e produttore a San Colombano in provincia di Milano che ha contribuito alla stesura di una legge che dovrebbe finalmente regolamentare il settore dell'enoturismo.

Presidente Pietrasanta, all'esame del Senato c'è finalmente una legge. A che punto siamo?

«Al problema di far capire a quei geni del ministero dell'Economia che la legge non prevede costi per lo Stato. Sono preoccupati che i produttori chiedano sconti fiscali, ma non esiste nulla del genere. Vogliamo pagare le tasse, ma anche lavorare meglio e in regola».

Cosa significa?

«Significa che con la nuova legge produrremmo più Pil e quindi più gettito fiscale. E svilupperemmo l'indotto economico e produttivo con i servizi relativi all'enoturismo».

Una pratica che coinvolge anche la Lombardia e Milano, la nuova capitale del food?

«Certamente, coinvolgendo molti turisti stranieri. Dopo Expo Milano sta diventando un'attrazione, mai ricordo la città così frequentata dagli stranieri, capace di offrire una nuova tipologia di vita, apprezzata dai foodlovers».

Come si mangia a Milano?

«Ormai trovi sia la cucina tipica che quella etnica ricca di curiosità».

Presidente Pietrasanta, qual è la sua Milano enogastronomica?

«Quella delle trattorie, con il risotto sotto il pergolato e una buona bottiglia di Rosso di San Colombano. Amo la tradizione anche quando si evolve con i cambiamenti che la modernità ha portato in cucina, a partire dagli anni Cinquanta quando la cucina milanese ha scoperto l'olio».

Che rapporto ha con il cibo?

«Un rapporto sempre legato anche al vino: non sono capace di sedermi a tavola senza berne almeno un bicchiere».

E perché?

«Niente di meglio che gustare il buon cibo che troviamo lungo tutto lo Stivale abbinato ad un buon calice del territorio. La varietà del cibo accompagnata dalla grande varietà del vino. I miei gusti sono della terra: carne bovina, suina, selvaggina. Anche riscoprire cibi di un tempo interpretati in maniera moderna è bellissimo».

Il sapore dell'infanzia?

«Il risotto, nelle varie interpretazioni e nelle varie stagioni. Da quello con il cotechino a Natale, a quello in brodo con prezzemolo tagliato fine fine, sino al minestrone estivo da mangiare tiepido».

Come mai?

«Mia mamma è sempre stata appassionata, regina della cucina quando nella casa di San Colombano arrivavano cugini, zii e parenti, cucinava per tutti, aiutata dal personale di servizio. Anche mio nonno, mezzo genovese e mezzo piacentino era un grande appassionato, aprii una delle prima aziende conserviere nel 1920, la Val Trebbia».

Il profumo che più ama in cucina?

«Gli arrosti o i bolliti, la carne che cuoce. Ancora oggi, come un segugio, seguo quel profumo fino in cucina, anche se sono al ristorante».

Ai fornelli o a tavola?

«Ai fornelli il minimo indispensabile, sono un assaggiatore. Il mio posto è a tavola, anzi, in cantina. Non nascondo che in certe brodose minestre aggiungo un goccio di vino, davvero un sapore in più».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«Costoletta alla milanese con l'osso e con una buona marmellata di albicocche. Magari abbinata a un bel rosso frizzante delle mie parti fatto di uve Croatina e Barbera. Ma ci stanno bene anche una Bonarda, un Gutturnio. Anche un Lambrusco per pulire il palato dal fritto con la bollicina».

Il pranzo o la cena che non dimenticherà mai?

«Un ricordo di ormai quasi trent'anni fa, la prima volta Dal Pescatore a Canneto sull'Oglio dal grande Santini: lui in sala, moglie e mamma in cucina».

Racconti.

«Bevemmo in modo straordinario, cominciando dalla Franciacorta e arrivando in Piemonte con i rossi. E poi alla cena di gala del Vinitaly, mi ha colpito la precisione e la tempistica della brigata di cucina e del servizio in sala, due aspetti importantissimi della ristorazione».

Il vino cosa le suggerisce?

«La curiosità: voglio informazioni, capire tutto del territorio, della produzione, perché il tal vino è stato prodotto in quel modo che messaggio vuole dare ciascun produttore. Per questo serve una legge perché noi produttori così uguali, ma così diversi possiamo promuovere con l'enoturismo la tradizione vinicola ma soprattutto culturale».

C'è proprio bisogno di un'altra legge?

«Questa è la bellezza del vino, la sua forza. Perché sono i produttori e le cantine a creare l'enoturismo. Dietro ogni bottiglia c'è tradizione e territorio, una storia che emoziona e lascia qualcosa e vale per tutte le zone di produzione».

Bianco, rosso o bollicine?

«Il mio gusto va al rosso, sono un terrone del Nord. Anche se in Italia abbiamo un vino giusto per ogni piatto e occasione, un patrimonio unico che dobbiamo valorizzare».

La regione e la città sinonimo di buona cucina?

«Da presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino giro molto l'Italia è sono convinto che tutto sia buono se fatto con il cuore perché ogni luogo ha la propria anima».

Il suo luogo del cuore?

«Sono luoghi che possono avere molti indirizzi: un faro su uno scoglio o una malga in alta montagna, vorrei passarci un po' di tempo».

La cena romantica è un'arma vincente?

«Si, certamente. Sia da parte dell'uomo che della donna.

A me è capitato di aver ricevuto un invito romantico, ma il vino l'ho comunque scelto io».

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