Il governo ha avuto poco coraggio nel non proporre un taglio netto

di Carlo Maria Lomartire

Era facile immaginare che sarebbe andata così, nel Paese delle eccezioni e delle deroghe. Nessuna provincia accetta di morire, tutte pretendono di rappresentare un'eccezione e di avere diritto ad una deroga. Fra quelle che non possono che rassegnarsi alla fusione con altre, poi, si aprirà il contenzioso sul capoluogo: dove lo mettiamo il capoluogo? Da me, naturalmente.
Particolare è il caso della Lombardia, la regione più popolosa d'Italia, 10 milioni di abitanti, e con il maggior numero di province, 12. Praticamente tutte quelle che, stando al relativo decreto legge, dovrebbero essere cancellate hanno rivendicato il diritto alla sopravvivenza.
Pretende di essere graziata la provincia di Monza Brianza, da molti considerata inutile fin da quando chiedeva la «secessione» da Milano: da cui si arriva a Monza in mezzora passando per Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo, cioè praticamente senza uscire dall'abitato, attraversando quello che i sociologi chiamano una «conurbazione», la vera area metropolitana, che già ora risulta assurdamente tagliata in due da un cervellotico confine provinciale.
Ma non si salva la molto più antica provincia di Varese che - a questo punto legittimamente, visto il bizzarro caso di Monza - protesta il diritto ad esistere.
Quasi certamente sopravvivrà, invece, Sondrio, la meno popolosa delle province lombarde, grazie alla sua «specificità» (leggi: tutta montagna) e perché area di confine - già, ma anche Varese, Como, Lecco, sono province di confine.
E chiede di sopravvivere pure Mantova. E perché? Pare perché è molto lontana dal centro, da Milano. In realtà quella distanza si percorre in macchina in meno di due ore. E poi, comunque, che c'entra, qual è il problema della distanza?
Basti pensare che quando le province nacquero, subito dopo l'unità d'Italia, praticamente identificate con le prefetture, il parametro per definirne le dimensioni ottimali fu la raggiungibilità di ogni comune dal capoluogo in «una giornata di cavallo». Stando dunque alla soluzione proposta dal Cal, il Comitato per le autonomie locali, dei 12 enti originari in Lombardia ne sopravviverebbero ben 9, i tre quarti.
A queste condizioni ha ragione Guido Podestà, presidente della provincia di Milano, a dire che «il nuovo assetto non produrrà alcuna riduzione dei costi».
Il fatto è che, per evitare queste capziose diatribe, le provincie andavano semplicemente cancellate tutte. Senza eccezioni e senza deroghe. Se delle entità amministrative sono considerate inutilmente costose, vanno abolite: ridurne il numero significa solo ridurre - forse, ma non cancellare - quei costi inutili.
È evidente che, come in altri casi, il governo non ha avuto il coraggio del taglio netto. Molto competenti e altrettanto supponenti, i tecnici hanno finto di non sapere che in Italia l'eccezione cancella e sostituisce la regola. E se le province lombarde hanno risposto così, provate a immaginare le controproposte di altre regioni.
Naturalmente c'è di mezzo il nostro solito, spesso ridicolo campanilismo-particolarismo, dannosa eredità dell'Italia comunale e rinascimentale. Ma c'è anche, e forse soprattutto, la solita sfrenata voglia di poltrone, posti, cariche, prebende e stipendi.

Tanto e vero che già si chiede che i consigli provinciali sopravvissuti (cioè quasi tutti, stando alle richieste) vengano «eletti dal popolo», espressione che dietro la sua impudica retorica nasconde tanta voglia di indennità, vitalizi e rimborsi spese.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica