"Ho abortito per colpa delle manganellate" Processo per calunnia

Per il giudice si inventò tutto la donna che disse di aver perso il bimbo per le botte del poliziotto

"Ho abortito per colpa delle manganellate" Processo per calunnia

La denuncia - «Presa a manganellate dalla polizia durante gli scontri per l'occupazione abusiva di case popolari e costretta ad abortire spontaneamente due giorni dopo» - era di quelle pesanti più di un macigno. La smentita, arrivata tre mesi e mezzo più tardi, nel marzo 2015, per certi versi era anche peggio. Perché on era vero nulla. Ovvero: la donna, un'occupante abusiva di 37 anni che viveva in condizioni di disagio economico, era davvero incinta di sei mesi e davvero aveva perso il bambino 48 ore dopo lo sgombero. Per il resto però si trattava di una calunnia in piena regola. Questa fu infatti l'ipotesi di reato, contenuta in tre decreti di perquisizione, per la quale la Procura di Milano indagò allora sia la straniera - la cui denuncia era stata amplificata da molte telecamere e siti web - sia sua sorella che una loro amica. Dulcis in fundo, attraverso le intercettazioni telefoniche, la donna venne sorpresa inoltre mentre chiedeva a più persone di trasformarsi in testi che deponessero il falso davanti ai magistrati.

Ieri Ionica Druso, così si chiama la romena accusatrice dei poliziotti, è stata rinviata a giudizio per calunnia. Lo ha deciso il gup di Milano Teresa De Pascale che ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pm Gianluca Prisco, mandando a processo anche la sorella Adi, sempre accusata di calunnia e che, secondo l'accusa, avrebbe raccontato con «false» dichiarazioni che la donna avrebbe subito «tre manganellate». Il processo inizierà il prossimo 15 giugno davanti alla decima sezione penale di Milano.

Mauro Guaetta, segretario generale provinciale del sindacato di polizia Siulp di Milano era fiducioso da un po' su un simile esito della vicenda. «Eravamo convinti che il collega non avesse fatto nulla e credevamo nell'attività della magistratura. Ci auguriamo che in futuro la nostra attività non venga strumentalizzata bensì analizzata per il ruolo sociale che rappresenta».Sbrigativo Emanuele Brignoli, segretario generale lombardo dell'Ugl Polizia di Stato. «Credo che una volta tanto la giustizia ci renda merito. Siamo soddisfatti che almeno certe calunnie vengano alla luce e che il cosiddetto poliziotto cattivo venga riabilitato».«Fortunatamente in questo caso la giustizia è stata molto rapida - afferma Massimiliano Pirola, sub commissario del Sap Milano -. Siamo stufi di essere indicati come persone dedite alla violenza e basta. Siamo dei professionisti, ma purtroppo è molto facile indicare un poliziotto qualsiasi come il colpevole: come può difendersi? Noi come Sindacato autonomo di polizia abbiamo fatto una campagna per poter uscire in servizio con una telecamera sulla divisa in modo da filmare in qualsiasi istante il nostro operato. Nel 2015 inoltre abbiamo dotato tutti i nostri iscritti di una spy pen affinché, come forma di auto tutela, si possa registrare l'intervento del poliziotto momento per momento. In particolare questo escamotage è utile per chi fa servizio di volante e magari, arrivando per primo su una rissa, viene accusato di aver picchiato qualcuno quando invece non è così. Oppure per immortalare chi, tra noi, è davvero violento».

Anche Carmelo Zapparrata, segretario provinciale del Silp Cgil è soddisfatto di questo rinvio a giudizio: «Aspettavamo le risultanze dell'inchiesta

dell'autorità giudiziaria perché volevamo fosse fatta luce sulla vicenda e ora chiediamo che venga dato corso e si proceda contro questa donna che ha tentato ingiustamente d'infangare la polizia e di trarne un profitto personale».

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