Coronavirus

"I contagiati possono essere dieci volte il numero ufficiale"

Il professor Mondelli, infettivologo di Università e San Matteo: "Suppongo che i casi reali arrivino a mezzo milione"

"I contagiati possono essere dieci volte il numero ufficiale"

I contagiati veri? Potrebbero essere dieci volte superiori al numero ufficiale. È la fondata ipotesi di Mario Mondelli, professore di Malattie infettive all'Università di Pavia, convinto che stiamo osservando solo «la punta dell'iceberg» del Coronavirus. Se considerassimo la parte «sommersa», l'ordine di grandezza dei casi cambierebbe. «Almeno mezzo milione - dice l'infettivologo - è una mia verosimile supposizione naturalmente, a mio avviso possiamo parlare di circa 10 volte i numeri che risultano in Italia». Questo spiegherebbe molto. La letalità per esempio si riallineerebbe al tasso considerato normale. «Il ceppo italiano - spiega il professore - non si differenzia dagli altri se non per pochi dettagli, differenze puntiformi». In Italia e in Lombardia, insomma, non si muore più che altrove. I ricoverati gravi e i decessi sono molti perché moltissimi sono i contagiati, spesso senza sintomi o con sintomi leggeri. «Mandiamo e teniamo a casa in quarantena molte persone che hanno sintomi compatibili con il Covid. Facciamo tamponi solo a pazienti che stanno male».

Mondelli dirige Malattie infettive II e Immunologia al San Matteo, uno dei centri avanzati della lotta all'epidemia. «È una vera emergenza - racconta - tutti i medici sono impegnati nei turni, anche chirurghi, oculisti, stiamo inventando anche un nuovo modo di lavorare e stiamo facendo scuola». E da studioso, oltre che da medico, Mondelli sottoscrive le misure prese in Lombardia, anche di recente. «Sì, interamente, anzi i cinesi hanno detto che siamo troppo permissivi. Là hanno adottato misure più drastiche, anche sui pazienti dimessi, che non sono tornati a domicilio ma in strutture ad hoc dove hanno atteso la negativizzazione. È uno sforzo enorme, fattibile in Cina, più difficilmente in Italia».

Resta la domanda che tutti si fanno: perché in Lombardia colpisce di più? «La base degli infetti è molto ampia, il virus si è trasmesso attraverso persone asintomatiche che hanno contagiato altre. Su Bergamo, c'è stata una tardiva reazione nell'adozione di certo provvedimenti. La zona è molto popolata, e la mancanza di restrizioni ha fatto sì che il contagio si sia amplificato. In Veneto il focolaio era più piccolo, più sotto controllo, le persone si sono spostate poco. A Brescia e Bergamo c'è alta densità di popolazione, molte persone che si spostano e queste condizioni agevolano la diffusione. La fascia meridionale della Lombardia è stata più preservata, probabilmente dalla sua vocazione agricola, anche Pavia, separata da Milano da questa zona dedita all'agricoltura». Al momento, non ci sono evidenze sull'incidenza del Pm10. «Non aiuta il contagio - spiega il professore - ma aumenta la probabilità di broncopneumopatia cronica. Come il fumo che è un fattore di rischio riconosciuto di mortalità per Covid19».

La contagiosità è oggetto di continue ricerche. Il San Matteo ha pubblicato uno studio sulla sopravvivenza del virus sulle varie superfici. Un altro è targato Usa. Quello americano fa vedere il virus in laboratorio, su diverse superfici, rame acciaio, cartone, e valuta in quanto tempo perde la sua infettività. Quello pavese, è «real life». «Prende in esame una situazione è di vita reale, studia la presenza del virus nei reparti, chiusi e puliti. Non abbiamo trovato virus sugli oggetti o sulle pareti. Solo su alcuni caschi. Conferma che in ospedale si può trasmettere prevalentemente per aerosol. Questa alta contagiosità si spiega quindi con tosse e starnuti che generano goccioline che restano sospese. Però il virus non resta a lungo fluttuante nell'aria, è meno contagioso del morbillo. Si ritiene che una persona affetta da Coronavirus ne contagi 4, una col morbillo 18». Gli studi sulle terapie corrono. «Le sperimentazioni sono state centralizzato dall'Aifa, comunque è probabile che il Tocilizumab venga presto distribuito negli ospedali. L'efficacia è stata più volte confermata. Il dubbio è sul momento della somministrazione. Se aumentasse la disponibilità potremmo farlo anche prima. Sconfessata l'efficacia degli antiretrovirali, si è smesso di usarli, ed è stata rivalutata la clorochina». La speranza di un vaccino c'è, ma non dietro l'angolo. «Le prime sperimentazioni sono partite la settimana scorsa, ma per maggio giugno potrebbero esserci i primi risultati. Si tratta di vaccini genetici. A Pavia siamo pionieri della terapia che usa il plasma dei donatori guariti. Abbiamo il plasma, siamo in attesa di partire con la sperimentazione.

Prima del vaccino potrebbe arrivare l'immunizzazione passiva col plasma dei convalescenti».

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