I destini incrociati a Expo di ex commissario e Maroni

Luca Fazzo

Sei mesi di tempo per completare le indagini sulla piastra di Expo e sulle colpe, vere o presunte, del sindaco Beppe Sala; e sei mesi di tempo per portare a conclusione il processo a Roberto Maroni, presidente della Regione, per le pressioni su Expo. Destini paralleli di uomini e istituzioni, e sullo sfondo una sorta di sgradevole nemesi: a oltre un anno dalla sua chiusura, l'esposizione universale che ha riportato Milano sotto gli occhi del mondo si ritorce contro la sua città, precipitandola in un limbo istituzionale senza precedenti, con gli esponenti delle sue istituzioni più importanti costretti a fare i conti con asprezze e lentezze della giustizia.

Tutta la prima metà del 2017 sarà vissuta da Comune e Regione nell'impasse forzato dei due capi, accompagnata dal basso continuo delle manovre per la loro successione.

A rendere ancora più paradossale la situazione c'è indubbiamente la frugalità delle accuse che incombono su Maroni e Sala, confrontata alla sarabanda di interessi mossi da Expo 2015. Sia il governatore che il sindaco si trovano sotto tiro per due manovre inutili, anche nella ricostruzione degli inquirenti: Maroni fa imbarcare la sua fedelissima Paturzo in una missione che poi non parte, Sala cambia la data di una nomina per salvare le conclusioni di una riunione in cui non si era deciso nulla. Solo al temine di queste vicende si capirà (forse) quale animo abbia governato queste loro improvvide mosse. Quel che salta agli occhi per ora è che insieme a tante ricadute positive, Expo ha lasciato in eredità a Milano due guai grossi come il Decumano.

Che i due semestri di passione per Palazzo Marino e Palazzo Lombardia finiscano col sovrapporsi è un frutto bizzarro della casualità giudiziaria. Il processo a Maroni si trascina a ritmi da gastropode polmonato, una o due sedute al mese; da qui all'estate sono in programma undici udienze, e dovrebbero essere sufficienti per pronunciare la sentenza prima delle vacanze. E giova ricordare che se il tribunale lo condannasse, Maroni decadrebbe immediatamente dalla carica in base alla legge Severino.

Più o meno in contemporanea, scadranno i sei mesi di proroga che il procuratore generale Felice Isnardi ha chiesto per indagare su Sala: se alla conclusione Isnardi chiedesse il rinvio a giudizio, per Sala sarebbe difficile non tirarsi definitivamente da parte.

Dunque: smantellato l'Albero della vita e collocato in lista dei sogni l'Human technopole che dovrebbe sorgere sul sito dismesso, d'ora in avanti il bisillabo Expo vivrà sopratutto nelle cronache giudiziarie sui due uomini che più vivacemente si sono contesi, nei sei mesi dell'esposizione universale, la ribalta mediatica. E siccome le coincidenze non finiscono mai, i due destini paralleli di Sala e Maroni sono destinati a incrociarsi: probabilmente in febbraio, quando il sindaco dovrà apparire come testimone nell'aula del processo al governatore per spiegare se e come abbia alla fine dato il suo placet a imbarcare la Paturzo in business class destinazione Tokyo.

Sala diede il via libera perché, come sostiene la Procura, le pressioni di Maroni si erano fatte così insistente da mettere a rischio il buon andamento di Expo? Almeno in parte, quel giorno il destino di uno sarà nelle mani dell'altro.

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