Fare presto e male. Era la regola da seguire per Expo, secondo la ricostruzione della Procura. La «deregulation dettata dall'emergenza» è descritta dai pm Roberto Pellicano, Paolo Filippini e Giovanni Polizzi nella richiesta di archiviazione (non sono emersi elementi sufficienti a sostenere le accuse) dell'inchiesta con 5 indagati sulle presunte irregolarità nell'appalto da 272 milioni per la «Piastra» dell'Esposizione. Richiesta che il gip Andrea Ghinetti ha rigettato e che verrà ridiscussa in un'udienza l'11 novembre. La gara andò alla Mantovani spa grazie a un ribasso «elevatissimo» del 42 per cento. L'unico scopo dei manager Expo era di finire i lavori in tempo, scrivono i pm con toni duri. «Ottenuto l'appalto ed evitata la verifica di congruità dell'offerta per ragioni di urgenza - si legge nel documento di 27 pagine - l'unico interesse dei manager di Expo» è «concludere i lavori entro aprile 2015, termine assolutamente indifferibile». Non solo: «Dichiarato tale obbiettivo, si è arretrata la soglia della legittimità dell'agire amministrativo». E l'offerta della Mantovani «è stata ampiamente modificata nei costi e nelle originarie obbligazioni contrattuali, consentendo all'appaltatore di entrare in un'anomala trattativa al rialzo con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori (...), la cancellazione dell'evento e la credibilità del Paese». L'ex dg di Ilspa Antonio Rognoni dichiara a verbale di aver segnalato a Giuseppe Sala le anomalie di quell'offerta.
L'allora commissario Expo avrebbe risposto che «non avevano tempo» per «verificare se l'offerta era anomala o meno». Infine sempre nelle carte Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani e tra gli indagati: a Milano c'era «un sistema spartitorio degli appalti».CBas
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