«I pranzi? È proprio lì che si fa politica»

Dal Baretto alle graffette, le scuse dei consiglieri regionali a processo per le spese pazze

I pranzi e le cene in ristoranti di lusso? «Indispensabili per l'attività politica». Altro che Rimborsopoli: «Alla fine del mandato - assicura l'ex consigliere Idv Stefano Zamponi - ho restituito tutte le apparecchiature elettroniche e anche le graffette e i post-it». Gli aperitivi nel locale di Alassio? «Ci incontravo esponenti dell'associazionismo lombardo, ormai ad Alassio si trovano più milanesi che alassini...». Nell'aula bunker di fronte a San Vittore ieri hanno sfilato alcuni dei 56 imputati (ci sono anche Renzo Bossi e Nicole Minetti) nel processo per le presunte «spese pazze» dei gruppi consiliari in Regione. Davanti alla Decime sezione del Tribunale hanno reso dichiarazioni spontanee, un paio di loro hanno risposto alle domande del pm Paolo Filippini. Tra l'incredulità di ritrovarsi a processo per una pratica - quella dei rimborsi sotto forma di fondi pubblici per spese personali come ricariche telefoniche, taxi, necrologi sui quotidiani, snack, libri, smartphone, gelati - considerata «una prassi». E qualche arrampicata sugli specchi per giustificare gli scontrini sotto la lente. Gli ex assessori e consiglieri, alcuni tutt'ora in carica, appartengono a quasi tutti i partiti, dal Pd al Pdl, e rispondono a vario titolo di peculato e truffa. Il periodo preso in esame è quello tra il 2002 e il 2013.

«Senza quei pranzi e quelle cene di lavoro - ha dichiarato l'ex consigliere del Pdl Mario Sala - non sarebbe stato possibile per me, per il mio gruppo e per l'istituzione regionale varare provvedimenti per miliardi di euro. L'attività di consigliere regionale è convulsa, urgente, per nulla ordinaria». A Sala sono contestati 52mila euro di spese non attinenti al mandato. «Tutte indispensabili per la mia attività politica», ha spiegato lui. Della stessa opinione l'ex collega di partito Giuseppe Angelo Giammario: «Un consigliere è tale h 24 - ha sottolineato -. Appena arrivato chiesi quali fossero i miei diritti in termini di rimborsi. Alla fine del primo anno di lavoro non ho avuto riscontri negativi riguardo alle mie spese, quindi continuai nella convinzione di non commettere illeciti». Nella lista addebitata a Giammario ci sono appunto gli scontrini di Alassio, molti pranzi al ristorante Da Berti (che compare negli elenchi di quasi tutti gli imputati) e un conto da 260 euro in una nota discoteca di piazza Diaz, il Nepentha: «Eravamo in 24 ed erano le 19 - ha detto l'ex consigliere -. Ho scelto quel locale perché era comodo per i consiglieri comunali, con cui ho discusso di una legge sui parchi». Alessandro Colucci, oggi in Consiglio con Ncd, ha spiegato: «Sono sempre stato attento alle norme e alle indicazioni del gruppo, anche scritte, sui rimborsi. I pasti sono spesso l'unico modo per organizzare incontri di lavoro per chi come noi è impegnato 365 giorni l'anno e 24 ore al giorno. La mia non è certo una lamentela, è stato un onore lavorare in Regione, l'ho fatto con passione e trasporto. Ma per me ha comportato anche problemi familiari di non facile gestione...».

È un fautore della pausa pranzo «lavorativa» anche Sante Zuffada, ex consigliere Pdl al Pirellone e oggi senatore di Fi: «In pausa pranzo coltivavo il mio rapporto sistematico con gli amministratori locali. Ho fatto incontri di lavoro con sindaci del mio collegio anche in occasione di miei compleanni». Una convivialità che pagava politicamente: «Il costante collegamento con il territorio mi ha permesso di essere rieletto una seconda volta in Regione». All'ex assessore Giorgio Pozzi (Pdl) il pm ha chiesto conto in particolare i 28 pranzi per un totale di 5.800 euro consumati in quattro mesi, tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012, al Baretto, ristorante non proprio economico (in un'occasione agli atti 340 euro per due coperti).

«Lo frequento da trent'anni e lì portavo gli ospiti importanti. Tutti comunque con incarichi istituzionali. Facendo politica, ho il dovere di ascoltare». Come altri imputati Pozzi ha restituito i fondi che gli venivano contestati, nel suo caso 55mila euro.

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