I volti di Shorter e Davis: "Così ho raccontato il jazz"

Il figlio dello storico Polillo espone le sue immagini: "Portavo le star in auto". Un live dedicato al Bebop

I volti di Shorter e Davis: "Così ho raccontato il jazz"

«I ritratti in mostra, tredici grandi maestri dell'improvvisazione, sono una parte del mio lavoro di scatti fatto in dodici anni da fotografo per la storica rivista Musica Jazz, di cui mio papà è stato direttore». Incontrare Roberto Polillo, che espone all'Auditorium Verdi di Milano una serie di immagini da lui realizzate in occasione della rassegna «C'erano molte volte il jazz» (stasera dalle ore 20.30 secondo «live» dei sei, dedicato a Charlie Parker e al Bebop»), significa fare un viaggio alla scoperta di un pezzo di storia musicale italiana. Chi non ricorda, tra gli appassionati, la figura di suo padre Arrigo, critico-saggista-storico dedicato al genere (dalla nota «Enciclopedia del jazz» in poi, numerosi i libri da lui scritti sull'argomento) - e inesauribile organizzatore in Italia di concerti rimasti memorabili? Ora tocca a lui, al figlio Roberto: dopo gli anni giovanili e una laurea in Fisica e per una vita alle prese con l'informatica, da tempo è tornato al primo amore, la fotografia («ora faccio scatti d'arte», precisa), riaprendo all'occorrenza il «vecchio» archivio e il libro dei ricordi: «All'esposizione troverete i volti di personaggi di prima grandezza che si sono esibiti nel Paese e fuori dai confini e che io ho potuto immortalare».

Qualche nome per «gustare»: ecco Ella Fitzgerald, Louis Armstrong, Bill Evans, Gerry Mulligan e Miles Davis. A riprova della sua stretta vicinanza con il mondo del jazz, ancora adesso, un'immagine scattata il 21 luglio scorso che lo ritrae con Wayne Shorter, oggi 84enne, a San Sebastian in Spagna, al Jazzaldia. «Ho un archivio messo insieme seguendo oltre cento concerti in una dozzina di anni - racconta -. Una fortuna rispetto alle possibilità che ci sono ora alle esibizioni». Coi fotografi - si racconta nell'ambiente - che dopo i primi scatti non di rado vengono invitati ad allontanarsi. Al contrario di un tempo in cui c'era più libertà di agire ed esprimersi, documentare; e dove stare allo stesso tavolo con una star non era poi così difficile. A questo proposito Polillo ha da raccontare: «In effetti mi sono trovato più di una volta vicino a un grande musicista».

Il «protocollo» per i concerti era semplice: lui e suo padre andavano a prendere il personaggio all'aeroporto e poi in auto lo accompagnavano in albergo: «Mi viene in mente un viaggio fatto con Monk, si parlava ma lui sempre in silenzio. Guardava il tachimetro e all'improvviso una domanda tipo hanno inventato prima il miglio o il chilometro? Poi più nulla».

Ricordi, spezzoni di esperienze, in un «periodo magico che ho vissuto, tra il '62 e il '72, i grandi maestri del jazz tradizionale ancora erano in circolazione mentre si affacciavano gli emergenti che avrebbero fatto la rivoluzione,

come Coltrane». Per finire prima dei saluti, un ricordo di papà Arrigo: «Era molto estroverso, per lui era facile avere contatti diretti coi musicisti. Pur non sapendo suonare uno strumento, la sua vita è stata il jazz».

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