C'è chi marca visita, chi si fa interrogare dai magistrati ma svicola dai cronisti, chi dopo l'incontro con i pm si presenta ai giornalisti per rivendicare innocenza e correttezza. Tra i ventidue consiglieri regionali investiti dall'inchiesta sui rimborsi spese cominciano a delinearsi differenze di posizioni processuali e di strategia. Leggendo il testo degli avvisi di garanzia, d'altronde, si nota ad occhio nudo che c'è chi è messo peggio di altri. Se dal punto di vista etico e politico l'allegro dispendio di soldi pubblici è difficilmente giustificabile, sul piano giudiziario la linea difensiva di molti indagati è già delineata: la legge che istituisce i rimborsi per i consiglieri regionali risale al remoto 1972, il testo può essere considerato troppo ampio ma è quello che è, e infatti per quarant'anni i soldi sono stati incassati senza problemi e con il visto di conformità della Corte dei conti. Tra gli indagati che ieri non si presentano agli interrogatori fissati in Procura ci sono alcuni in posizione assai critica come il leghista Pierluigi Toscani (nella foto), quello che metteva in nota spese i leccalecca, le cartucce per fucile e le ostriche; ma non si presenta neanche Gianluigi Rinaldin, di cui nell'invito a comparire fa impressione - oltre a qualche cena piuttosto affollata - soprattutto la quantità inverosimile di ricariche telefoniche. Viene invece interrogato il capogruppo del Pdl Paolo Valentini, che dopo il faccia a faccia con i pm si sofferma con i cronisti giudiziari.
«Ho risposto - dice - dando tutti i chiarimenti. Le cene? Erano tutte istituzionali, ovviamente non posso assicurare sulla buona condotta di tutti, se qualcuno ha sbagliato se ne assumerà la responsabilità», ha detto Valentini, spiegando di essersi attenuto a «una prassi consolidata».
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