Invalidi e schiavi: così l'elemosina arricchiva il racket

«Non ce la faccio più. Aiutatemi, vi racconto tutto». É iniziata così, con la ribellione di uno schiavo, l'indagine della polizia locale di Milano sul racket delle elemosina. Lo schiavo era, come tutti i suoi compagni di sventura, un rumeno in condizioni pietose, comprato in patria e scaraventato con la forza sui marciapiedi di Milano. Invalidi, handicappati, denutriti, conciati in condizioni pietose unicamente per colpire il buon cuore dei milanesi. La loro casa era una cascina abbandonata in via Calchi Taeggi, a poche decine di metri dal carcere minorile. Da qui, ogni mattina, venivano caricati e portati sul luogo di «lavoro»: un marciapiede, un angolo di strada, un vagone della metropolitana. E ritirati a sera, insieme all'incasso della questua.
Ieri mattina sono scattati gli arresti per l'intero clan degli schiavisti: dodici ordine di cattura per associazione a delinquere transazionale finalizzata alla riduzione in schiavitù, aggravata dall'handicap delle vittime. Solo due dei destinatari del mandato di cattura sono stati arrestati, ma nelle prossime ore la rete dovrebbe stringersi incontro agli altri. Per trentadue schiavi si sono aperte le porte di un centro di accoglienza. Tutto questo non sarebbe stato possibile se, un giorno dello scorso anno, uno dei disperati non fosse stato controllato da una pattuglia di «ghisa». Lì per lì non disse nulla di nulla. Ma conservò il numero di telefono. La notte, nella stamberga di via Calchi Taeggi, trovò dentro di sè il coraggio per dire basta. E il giorno dopo si presentò e iniziò a raccontare tutto.
É stato su quella falsariga che le indagini della polizia locale, coordinate dal pubblico ministero Antonio Sangermano, hanno iniziato a scavare per mesi. Strumento principale: macchine fotografiche e telecamere, piazzate nei luoghi dove, ogni mattina, i «padroni» (come venivano davvero chiamati dalle loro vittime) scaricavano i loro schiavi. Ci sono voluti stomaco e pazienza, per assistere senza intervenire alle sofferenze delle decine di monchi e di storpi finiti nelle grinfie dell'organizzazione. Ma non c'era scelta. Bisognava documentare tutto, per poi colpire. Così ore ed ore di accattonaggio sono finite nei video della polizia locale che costituiscono l'ossatura dell'indagine. Comprese quelle, abbastanza impressionanti, della giovane donna invalida che vagava per il centro di Milano a quattro zampe, aiutandosi con uno skateboard. Per poi essere riportata a sera nella cascina, nutrita con pane e poco più: anche la denutrizione, raccontano gli inquirenti, era un modo per rendere le vittime incapaci di reagire.
L'organizzazione - in mano per intero a nomadi - ha un capo indiscusso, e un folto staff di gregari. Ma quanto emerso non è tutto. Ci sono filiali in altre città e all'estero, e c'è il robusto sospetto che anche bambini e ragazzini fossero comprati in Romania per essere spediti sui marciapiedi italiani.


«Questa indagine ridà speranze a gente costretta a umiliarsi e a subire violenze inaudite» è il commento del sindaco Pisapia. Ribatte Riccardo De Corato: il dilagare della schiavitù è conseguenza della soppressione di Charlie e Delta, le pattuglie dei vigili che sotto la vecchia giunta controllavano l'accattonaggio.

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