Cronaca locale

"Io, campione del mondo di boxe ho preso a pugni anche la droga"

Il pugile dello Stadera racconta come si è riscattato da strada e sfortune e giura: "Aprirò una palestra"

"Io, campione del mondo di boxe ho preso a pugni anche la droga"

"Non ho mollato nella vita, non mollerò di certo sul ring". Potrebbe essere questo il titolo di un film sulla vita di Giacobbe Fragomeni. Il 14 gennaio, al Teatro della Luna di Assago, Fragomeni è salito nuovamente sul quadrato e ha riacceso l'entusiasmo nel pubblico milanese sconfiggendo in appena tre riprese l'ungherese Tamas Polster. Immortale e leggendario sono solo alcuni degli aggettivi da coniare per questo 47enne pugile dello Stadera, il quartiere della periferia sud di Milano che lo ha visto perdersi tra strade buie e drammi familiari, prima di avvicinarsi casualmente al pugilato a 21 anni e a mandare al tappeto la droga.

Fragomeni, come fa a 47 anni a voler incassare ancora pugni?

"Mi sento bello attivo, competitivo, continuerò fin quando non sentirò più la voglia di prendere botte. Di certo non durerà tutta la vita, non sono un highlander e ne sono consapevole. Ma ho voglia di prendermi qualche soddisfazione. E si è visto nell'ultimo match, che è durato meno di quello che pensavo".

Non vorrà mica arrivare ai 52 anni come Hopkins?

"Certo, perché no. Lui è andato avanti, perché non io?".

Ma il percorso per arrivare in alto, anche a causa di un padre che entrava e usciva di prigione, giocava d'azzardo e beveva, è stato tutt'altro che facile...

"È stato un periodo drammatico, io ero già fuori di testa di mio, poi la scomparsa di mia sorella (morta di overdose ndr) mi fece perdere il baricentro, cominciai a fare cose ambigue, strane, mi buttavo nel bar, andai nel baratro assoluto, non mi interessava più niente, di vivere o di morire".

Poi cos'è successo?

"Mi sono guardato dentro, ho detto non è quello che merita mia sorella, non era quello che voleva mia mamma, non era quello che volevo io".

Ha mai avuto paura di non farcela?

"C'è stato un attimo quando proprio non c'era più niente da fare, quando non avevo più niente, che mi sono chiesto: che ci sto a fare qua? E ho cercato di suicidarmi, ho pensato di buttarmi sotto un treno, forse davvero esiste qualcosa o qualcuno che in quell'attimo lì invece di farti fare un passo in avanti te lo fa fare all'indietro. E io ho detto no".

Il pugilato è stata la medicina?

"Da lì è partito tutto in positivo. All'inizio era solo per perdere peso, poi ho dedicato tutto me stesso e ne sono uscito fuori. Facevo l'asfaltista, mi svegliavo alle 4 del mattino e tornavo alle 5 del pomeriggio, facevo qualsiasi lavoretto per potermi pagare la palestra. La boxe è stata la ciliegina sulla torta e ne sono saltato fuori alla grande".

La palestra una via di fuga dalle tentazioni della strada?

"Alla fine sì. Perché ha tirato fuori la mia frustrazione e la rabbia che avevo dentro e mi ha formato come persona, come uomo. Bisogna smettere di pensare che la boxe sia uno sport violento, è soprattutto disciplina. Pensano che sia violento solo quelli che vanno in palestra per dare quattro pugni, vanno in giro a dire che fanno pugilato, ma fondamentalmente sono solo dei paurosi e fanno pugilato per sentirsi forti".

L'Isola dei Famosi l'ha fatta conoscere al pubblico. Che esperienza è stata?

"La gente ha visto quello che sono, uno che sa resistere alle intemperie della vita ed è stato quello che mi ha fatto vincere. Spero che la mia storia possa aiutare gli altri a uscire dai momenti difficili. Dopo questa esperienza sono diventato un po più popolare, prima mi conoscevano solo per la boxe, ora mi conoscono per tutti e due".

Cosa significa diventare campione del mondo dei massimi leggeri nella propria città?

"La cosa più bella del mondo. Quando ho iniziato mi dicevo: non ci arriverò mai e invece ho vinto come i più forti del pugilato mondiale, da Tyson ad Ali, e io faccio parte di loro. Questa è una meraviglia".

Parlando del quartiere dov'è nato, lo Stadera. Lo frequenta ancora?

"Quando posso vado dal mio amico parrucchiere Gaetano. È cambiato tutto ed è diventata una brutta zona. Ci sono solo commercianti che si lamentano, prima le persone si fermavano a parlare, ora scappano. È pieno di marocchini, non per essere razzista, ma c'è gente che sta fuori strada a bere, fumare e le persone hanno paura di stare lì".

A Milano è difficile organizzare incontri. In passato nel parterre c'erano personaggi dello sport e dello spettacolo. Che cosa non va?

"Sono stato l'ultimo pugile a riempire il Palalido con 4-5000 persone che non sono poche. Manca il personaggio da noi, oppure non sono capaci di crearlo".

In futuro vuole crescere talenti?

"Quando smetterò aprirò una palestra con mia moglie. Voglio trasmettere quello che ho imparato. Prima però devo correre la maratona di Milano (per la fondazione Milan).

Pugile e maratoneta, faccio di tutto".

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