«Non mi sono mai accorta davere solo un corridoio buio davanti a me. Sento il motore della macchina e mi piace. Non conosco la monotonia. Amo il mio lavoro e non ne farei nessun altro». Elena Lenti, nata il 18 gennaio 1965, è stata la prima donna in Italia a guidare la metropolitana nel luglio 1991. Volitiva, come i suoi capelli rossi. Inizia il turno alle 15.30 alla fermata di piazzale Cadorna sul Meneghino, una delle ultime acquisizioni di Atm. E tutto intero, non ha vagoni. «Ciao Nunzio». Saluta il collega che scende, quindi prende posto in cabina di comando. Una rossa sulla Verde. Chiude le porte, aziona la leva, la metro scorre. Andatura: dai 50 ai 75 chilometri orari.
Davanti al vetro, tunnel, tunnel, tunnel, e rotaie. Niente altro, finché non arriva la stazione e finalmente si vedono le persone. Si potrebbero contare e sono chiare anche le espressioni dattesa o di stanchezza negli occhi. «A volte riconosco i loro volti - racconta - e a volte sono i passeggeri a riconoscere il mio. Cera un uomo che ad ogni fermata per scherzo scendeva un attimo e mi mandava un bacio attraverso lo specchietto. I bambini, quando vedono una donna, si precipitano per salire sul locomotore. Allimprovviso sbucano i writers e cominciano a imbrattare i vagoni. Usanza che purtroppo non ha fine». Questo è il tipo dattacco moderno alla diligenza: bombolette colorate di giovanotti incappucciati senza il dono dellarte.
Elena Lenti, che per stare seduta su questo sedile deve avere uno sguardo daquila e un piacere dellandatura veloce, iniziò a lavorare in uno studio davvocati. Poi il litigio, il debutto con Atm sui tram nel 1987, infine la scelta di passare sul metrò. «Potrei scrivere un libro. La gente sfoggia una caratteristica quando sale: crede di non essere vista, così fa qualsiasi cosa, sia nel bene, sia nel male. Negli anni 90 alla fine di un turno, ripercorrevo le vetture vuote e ci trovavo di tutto: preservativi, pannolini di donne, vibratori. Ora è diverso, ma questo concetto che in metro si è come invisibili è una peculiarità curiosa di questo mezzo».
In fin dei conti si è sottoterra. «Sì, ma precisamo, non siamo in un film dellorrore. Vampiri sui binari non ne ho mai visti! E vero che per la maggior parte vuoto e oscurità sono in questo regno, eppure non mi infondono angoscia ma sicurezza». Aziona i pulsanti dapertura e chiusura porte, la leva davviamento, scruta i due video che le danno la situazione dei passeggeri - anche se preferisce controllarli dal vecchio specchietto - ed è come se girasse le manopole del forno in cui infilare la crostata. Lavora sei ore e mezzo al giorno, guida anche per tre ore consecutivamente.
«Mi piace la velocità. Il mio sogno è portare il Freccia Rossa. Quando non sono qui, mi diverto in moto. Anni fa feci un concorso per diventare capostazione. In ufficio credevo di impazzire. Ho rinunciato anche alla qualifica per ritornare in cabina. Sul locomotore mi sento libera, padrona del mezzo». Ha sposato un «macchinista» Atm come lei; due figli che non vogliono seguire le orme, meglio, i binari dei genitori. Però hanno chiesto alla mamma di viaggiare una volta in cabina e la mamma li ha accontetati.
«Quando il tragitto è tutto sotto terra è meno avventuroso. A cielo aperto, ad Assago, posso vedere le nutrie, che trovo divertenti, lairone cinerino e qualche volta una volpe. Nei tunnel non mi è mai capitato di vedere un animale, come a un mio collega che si è visto improvvisamente attaversare la strada da un cane. Una volta sola si impigliò nello specchietto un piccione. Sono morta di paura». Paura di un piccione e non di una nutria? «Temo i volatili». Una fermata dopo laltra raccoglie i passeggeri. Aspetta i ritardatari che corrono verso la porta allultimo secondo? «Generalmente sì. Soprattutto se sono dei begli uomini! - sorride -.
Ora con la linea 5 ci saranno i locomotori teleguidati, senza conducente, e anche i pannelli antisuicidio. Sente il suo mestiere a rischio? «No. So che sopravviverà a qualsiasi innovazione»
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