Cristina Bassi
Da un passato glorioso di magistrato d'assalto a un presente un tantino triste di pensionato che non si rassegna a mollare. Ferdinando Pomarici, 73 anni, è in congedo dall'inizio del dicembre scorso. Ma quattro mesi dopo va ancora «al lavoro», cioè a Palazzo di giustizia. Praticamente tutti i giorni.
A notare il fatto insolito diversi addetti ai lavori. Che si sono accorti che l'ormai ex pm compare spesso e volentieri nella sua stanza al quarto piano, dove campeggia ancora la targhetta con il suo nome. Arriva con la riconoscibilissima auto rosso scuro, che parcheggia regolarmente nel cortile del Palazzo, ed entra nel suo ufficio aprendo la porta con il badge. In molti l'hanno visto armeggiare con fascicoli e documenti. Ufficialmente Pomarici non ha alcun incarico né alcun titolo per continuare a lavorare in Procura. D'altra parte non è affatto comune che un magistrato resti aggrappato in questo modo alla sedia. Perciò l'ex «grande vecchio» non è passato inosservato nei corridoi. Pare che la mail e la connessione a internet gli siano state disattivate. Di certo non firma alcun atto formale. Ma è altrettanto probabile che non resti in ufficio a oziare. Forse sta smaltendo il vecchio lavoro e facendo il passaggio di consegne, azzarda qualcuno. Oppure affianca i colleghi nella gestione dei fascicoli che aveva preso in carico e poi sono loro a sottoscrivere gli atti. La sua presenza resta una stranezza. Anche perché ha accesso a dati sensibili in veste - ormai - di privato cittadino.
Pomarici ha fatto la storia della Procura milanese. Negli anni Settanta si è conquistato la fama di duro. La sua fermezza nel contrasto ai rapimenti dell'Anonima sequestri è alla base di una legge dello Stato, quella sul blocco dei beni. È stato lui infatti ad applicare per primo la misura che impedisce ai familiari dei rapiti di pagare il riscatto. È stato in trincea contro il terrorismo interno, ha rappresentato l'accusa ad Adriano Sofri e gli altri membri di Lotta continua nel processo per l'omicidio di Luigi Calabresi. Si è occupato anche di mafia e ha portato avanti le indagini dell'attentato di via Palestro. Più di recente ha condotto con Armando Spataro l'inchiesta sul rapimento di Abu Omar, prelevato nel 2003 in zona Bovisa dalla Cia e dai servizi segreti italiani. Schivo con i giornalisti, ha rilasciato rare interviste e non si è mai schierato con l'una o l'altra corrente politica all'interno della categoria. Nella corsa a procuratore capo venne sconfitto da Edmondo Bruti Liberati, poi approdò a un incarico defilato: l'ufficio esecuzioni. Qui quasi tre anni fa incrociò la sua strada con quella di un altro «grande vecchio», Silvio Berlusconi. Fu Pomarici a emettere l'ordine di esecuzione pena a carico dell'ex premier dopo la condanna nel caso Mediaset.
In Procura tutti ricordano il suo piglio atletico, la passione per il tennis e il calcio (è stato anche secondo portiere del Napoli) e per le moto. In pochi si aspettavano un epilogo da pensionato che non accetta l'uscita di scena.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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