di Guido Podestà*
Un popolo che non ha più l'orgoglio di essere tale e pare abbia smarrito anche la ragione della propria storia e della propria identità, quale futuro potrà avere? Dove tale popolo potrà trovare esempio e ispirazione per riscoprire orgoglio e consapevolezza del proprio essere? In queste ultime due settimane in molti abbiamo assistito alle competizioni olimpiche che si sono svolte a Londra. Al di là dei risultati più o meno soddisfacenti dei nostri atleti e al di là dei tanti episodi di impegno, di sacrificio, di gioie, di lacrime che caratterizzano sempre livelli così alti di competizione agonistica, vi è una cosa che è balzata agli occhi di tutti, in modo solare: l' orgoglio degli Inglesi di appartenere alla loro nazione, al loro popolo. É qualcosa che a Londra è risultato talmente evidente da essere diventato il collante, il substrato culturale, il continuum di queste Olimpiadi, a partire dai messaggi impliciti ed espliciti della cerimonia di apertura, con i riferimenti allo sviluppo industriale e alla crescita sociale del XIX e del XX secolo; cerimonia nella quale la presenza della regina Elisabetta ha voluto significare l'impegno corale e partecipe di tutto il Paese. Continuum che si è espresso anche nella capacità organizzativa e nella cortesia di migliaia di volontari, oltre che nello sforzo e nei risultati della squadra olimpica britannica, per terminare con il linguaggio universale della musica, nella cerimonia di chiusura.
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