La lezione inglese: un Paese è forte quando ritrova il proprio orgoglio

di Guido Podestà*

Un popolo che non ha più l'orgoglio di essere tale e pare abbia smarrito anche la ragione della propria storia e della propria identità, quale futuro potrà avere? Dove tale popolo potrà trovare esempio e ispirazione per riscoprire orgoglio e consapevolezza del proprio essere? In queste ultime due settimane in molti abbiamo assistito alle competizioni olimpiche che si sono svolte a Londra. Al di là dei risultati più o meno soddisfacenti dei nostri atleti e al di là dei tanti episodi di impegno, di sacrificio, di gioie, di lacrime che caratterizzano sempre livelli così alti di competizione agonistica, vi è una cosa che è balzata agli occhi di tutti, in modo solare: l' orgoglio degli Inglesi di appartenere alla loro nazione, al loro popolo. É qualcosa che a Londra è risultato talmente evidente da essere diventato il collante, il substrato culturale, il continuum di queste Olimpiadi, a partire dai messaggi impliciti ed espliciti della cerimonia di apertura, con i riferimenti allo sviluppo industriale e alla crescita sociale del XIX e del XX secolo; cerimonia nella quale la presenza della regina Elisabetta ha voluto significare l'impegno corale e partecipe di tutto il Paese. Continuum che si è espresso anche nella capacità organizzativa e nella cortesia di migliaia di volontari, oltre che nello sforzo e nei risultati della squadra olimpica britannica, per terminare con il linguaggio universale della musica, nella cerimonia di chiusura.

Qui gli Inglesi hanno voluto ricordare al mondo le rivoluzioni artistiche che John Lennon e gli altri Beatles, con la loro unicità, Freddie Mercury, con la sua voce e musica straordinaria, e tanti altri artisti hanno saputo dare al mondo in questi decenni. Da Londra, da questa città vitale che ha saputo superare fasi di crisi, nei decenni e negli anni più recenti, da questa città che cresce con slancio creativo tutti i giorni, dove i servizi (...)

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