Cronaca locale

l'intervista»

Il rettore della Cattolica: «Penso a una figura in grado di rappresentare una città che vuole essere capitale»

La vecchia ghiacciaia dei monaci, dieci metri sotto terra, è diventata un'aula di mattoni rossi sbiancati. È un po' il simbolo di come antico e nuovo si fondano in questa Università Cattolica che si propone come la storia che avanza. Il rettore, Franco Anelli, professore di Diritto privato, difende l'identità del suo ateneo come «campus urbano con materie umanistiche, università che sta dentro le città di tradizione europea, come Bologna, l'università più antica, o Parigi». E se suona un po' diverso dall'ipertecnologico che avanza e oggi va per la maggiore, non è un caso. Così non sorprende la mancanza di appeal per la Cattolica del campus universitario nelle aree del dopo Expo: «Noi crediamo nell'università in città. Non a caso abbiamo appena stretto un accordo con le istituzioni per acquisire la caserma Garibaldi in piazza sant'Ambrogio».

Le piace il progetto di realizzare una cittadella universitaria dove adesso si svolge l'Expo?

«Noi non siamo interessati. So che esiste un interesse da parte della Statale, che ha già delocalizzato spazi. Può essere una buona soluzione per loro e per chi ha facoltà di tipo scientifico e tecnologico, con laboratori. L'importante è che l'Expo non diventi una discarica, un'area dismessa, un luogo di saccheggio di materiali. Bisogna fare qualcosa subito, non si può ripetere l'incertezza dell'avvio dell'Expo, anche se è vero che una pianificazione migliore non appartiene alla storia patria».

Che cosa non la convince del progetto di avere un'area dedicata solo all'università? Ce ne sono in tutto il mondo...

«È bello cercare di fare in modo che gli studenti stiano in un luogo con una storia, lunga come quella del luogo in cui siamo noi o di cento anni come il Politecnico. Non esiste solo il modello delle università anglosassoni, come Oxford o Cambridge, sorte fuori dalle città. In Italia, anche le città che poi sono diventate universitarie, come Pavia e Pisa, hanno una forte tradizione storica. Credo che il volto dell'università vada molto difeso: quando vai in università, vuoi un'università con identità forte».

L'aria politica è frizzante in vista del voto per il Comune nel 2016. Dall'osservatorio del rettore della Cattolica, come dovrà essere il sindaco?

«È una domanda che non mi sono mai fatto, ma direi una persona con capacità decisionale e attendibilità personale forte. Una figura autorevole, che si possa prendere sul serio. Sarebbe bello se fosse qualcuno con una professionalità chiara, magari un intellettuale».

Vuol dire che un esponente politico non andrebbe bene?

«Se fosse un politico, qualcuno con un'immagine, un ruolo, una storia, non una persona uscita dal sottoscala di un partito. Ci vuole qualcuno in grado di rappresentare una città che aspira a essere una capitale, una persona nella quale si rispecchi l'immagine di Milano a livello sociale, culturale, economico. Deve essere una persona di quel livello lì. Per recuperare abbrivio, non può essere un amministratore di condominio».

Che cosa manca a Milano? Tutti dicono che è indispensabile puntare sulla ricerca. Concorda?

«La ricerca è importante, perché non si può insegnare senza fare ricerca, come diceva il nostro fondatore, padre Gemelli. L'idea alla base dell'università è insegnare agli studenti i risultati della ricerca del professore. Però è importante difendere la didattica e la funzione educativa dell'università, concentrarsi di più sugli studenti. Le persone non si iscrivono in un ateneo per fare ricerca: anche se qualcuno rimarrà a farne, non è certo la maggioranza. E poi non esiste solo la ricerca applicativa, ma ricerca di base e ricerca innovativa, che rischiano di essere penalizzate».

È vero che nelle nostre università, e anche nella società milanese, manca la meritocrazia?

«Attenzione a questa parola, perché dipende da come valuti i meriti. Tutti sappiamo che per pubblicare nelle riviste di serie A, quelle che danno punteggi più alti, devi stare nelle correnti dominanti, nei mainstream . Prevalgono filoni ideologici e di moda. Se stai dentro, va bene, se esci fuori ti areni. Così rimane schiacciato proprio il pensiero più originale, quello che può produrre maggiori frutti».

Quali sono le principali urgenze della città che vede?

«Stiamo facendo fuggire all'estero i nostri ragazzi. Soprattutto i figli delle persone che se lo possono permettere ormai lasciano Milano e il Paese già al liceo. Ma una persona che fa le superiori a Londra diventa di fatto un inglese. Invece dobbiamo riuscire a guidare questi percorsi e mandare noi gli studenti all'estero, grazie anche a lauree che valgono in diversi Paesi.

Altrimenti è un impoverimento per noi e per loro».

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