«Quale centro destra per l'Italia»? Prima di notare che sembrano tornati i tempi in cui si discuteva di centrodestra con il trattino o senza trattino, vale la pena dare un'occhiata ai partecipanti a questo tavolo del convegno azzurro di domani alle Stelline, organizzato all'ora del tè sotto il simbolo del gruppo Ppe: Paolo Romani, presidente dei senatori azzurri, Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento europeo, la vicepresidente vicaria della Camera, Mariastella Gelmini, Giovanni Toti, presidente della Liguria. A chiudere, è atteso Silvio Berlusconi.
Teste e opinioni diverse o almeno sfumate. A partire dal trattino che non c'è al convegno ma che è già comparso per Giovanni Toti: due giorni fa ha dichiarato che, se la legge elettorale non cambia, alle politiche 2018 il centrodestra ha la «necessità assoluta» di pensare a una «lista unica» di Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e un centro che finora sembra un Ncd passato in lavatrice.
Se immagini di giocare alla fune, la questione è tirare di qua o di là. Fino all'indicibile, non assente dagli azzurri cuori: il partito della Nazione, l'alleanza tra centri compatibili e l'espulsione più o meno esplicita dagli estremi. Ma persino Paolo Romani, che continua a dialogare con il governo Renzi per un premio di maggioranza alla coalizione e non al partito, che salverebbe l'identità moderata di Forza Italia, il suo ruolo di «proporre alla testa e non alla pancia», fatica a credere che ci siano alternative al listone.
Leggi politiche 2018 ma pensi al 2016, anno delle amministrative a Milano, Roma, Napoli e Bologna. È la prima, vera partita. Soprattutto a Milano. Anche se non si parla di «listone», matrimonio vero e proprio, ma “solo” di alleanze, la morale è sempre quella. Renato Brunetta, assente, è ormai convinto di un'alleanza stabile con la Lega come lo è stato della marcia di Bologna. Almeno in questo, vicino a Toti.
C'è l'europarlamentare Antonio Tajani, attaccato al Partito popolare europeo e scettico su un'alleanza con la Lega almeno per gli aspetti più euroscettici e dal sapore xenofobo. C'è Maurizio Gasparri, ex An, anche lui contrario alla manifestazione salviniana di Bologna che poi ha finito per accettare.
E Mariastella Gelmini, che tratta con gli Ncd lombardi, «antropolgicamente diversi» dai romani, ma soprattutto con i loro elettori.Alchimìe che si traducono in nomi. Matteo Salvini o Paolo Del Debbio? Un manager come Scaroni? Un giovane politico? Già far sedere vicini chi ha idee diverse è un passo che stimola domande. E, si spera, risposte.
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