L'ultimo ostacolo di Penati Oggi è il giorno del giudizio

Arriva a sentenza il processo sul cosiddetto «sistema Sesto» Dopo la Corte dei conti, l'ex Ds spera in un'altra assoluzione

Tre miracoli uno dopo l'altro: in aprile la Corte dei conti che ribalta la ricostruzione dell'operazione Serravalle, mettendo nero su bianco che la Provincia di Milano quando acquistò a prezzo stratosferico le azioni dell'autostrada non subì alcun danno; in settembre la decisione dei Democratici di sinistra, il suo vecchio partito, di non costituirsi parte civile contro di lui; infine, dieci giorni fa, la lettera di scuse pubbliche firmata da Gabriele Albertini, in passato suo grande accusatore. Per Filippo Penati, già sindaco di Sesto San Giovanni e signore indiscusso dei Ds milanesi, la marcia di avvicinamento alla sentenza che oggi verrà pronunciata nei suoi confronti dal tribunale di Monza non poteva avvenire sotto migliori auspici. Basteranno, a schivare o almeno a mitigare la condanna a quattro anni di carcere chiesta per lui dal pm Franca Macchia? Di sicuro, la Procura bianzola si sente tanto sicura del fatto suo da aver già fatto sapere che non intende replicare alle arringhe difensive: per cui stamane al tribunale non resterà che fare l'appello dei presenti e ritirarsi in camera di consiglio. Per l'ora di pranzo, la sentenza dovrebbe essere letta. Esito imprevedibile, perché se la Procura appare convinta della solidità delle prove portate in aula, l'imputato si mostra altrettanto fiducioso: «Verrò assolto, come già dalla Corte dei conti», è il Penati-pensiero.Anche in caso di assoluzione, però, difficile immaginare che il vecchio ex comunista possa ergersi a martire. Perché alla sentenza si arriva sull'onda di un processo lungo e frastagliato, che ha permesso a Penati di schivare una parte delle accuse, legate alle operazioni immobiliari sulle aree Falck e Marelli, solo grazie alla prescrizione: ed è ben vero che Penati ha chiesto di rinunciarvi, ma solo quando è stato ben sicuro di essere fuori tempo massimo. E a restare comunque documentato è quello che il pm ha definito «sistema Penati»: un reticolo di rapporti sotterranei tra politica e affari, nato all'epoca in cui l'imputato regnava sulla roccaforte rossa di Sesto, e poi esportato pari pari nella gestione della Provincia di Milano. Un sistema fatto secondo l'accusa di scambi reciproci, in delibere, in soldi, in appoggi di ogni genere.

E il fatto che mai, nell'inchiesta, sia emersa traccia di arricchimenti personali di Penati, rende semmai ancora più grave il quadro, e più chiaro il motivo per cui gli eredi dei Ds hanno rinunciato a schierarsi in aula contro l'ex dirigente: perché il partito della Quercia non era la vittima ma il beneficiario dei soldi rastrellati da Penati grazie «all'occupazione manu militari delle società pubbliche»: «un fiume di denaro», ha detto il pm, destinato a finanziare le campagne elettorali del partito egemone della sinistra milanese.

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