Antonio RuzzoGli abbracci e i sorrisi sono durati una sera. Quella dello spoglio delle primarie, quando all'Elfo Puccini il centrosinistra si è ritrovato per conoscere quale sarebbe stato il candidato che avrebbe raccolto il testimone di Giuliano Pisapia. Ma è durato un amen. Poi sono cominciati i conti. Anzi la resa dei conti. E quel Giuseppe Sala già amministratore delegato della Pirelli, già direttore generale della Telecom, già presidente di Medhelan Management Finance, già direttore generale del Comune di Milano con la Moratti e già amministratore delegato di Expo 2015 SpA, ora con un posticino nel consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti, divide più che mai. Soprattutto dopo aver capito che se le candidature di Balzani e Majorino non avessero frantumato il fronte le percentuali sarebbero state di gran lunga superiori al 42 per cento con cui mister Expo si è conquistato il diritto di correre per Palazzo Marino. Ma a sinistra l'uomo di Renzi resta un oggetto estraneo, accettato a fatica (anche da qualcuno nello stesso Pd) e capace di far esplodere un malcontento e malumori che questi anni di governo Pisapia non hanno per nulla cancellato ma forse alimentato. C'era una volta il vento arancione che teneva insieme un bel po' di mondi ma ha smesso presto soffiare e così i partiti della sinistra radicale sono rimasti invischiati all'interno di una maggioranza di centro sinistra che faceva scelte sempre più discutibili. E ora si fanno i conti e i bilanci che non sono lusinghieri. A tirar le somme ci pensa Guido Viale sul Manifesto che demolisce i e5 anni di governo Pisapia di cui non mette in discussione solo il profilo morale e intellettuale. Il resto è da dimenticare. E se a sedersi su quella poltrona di sindaco sarà Giuseppe Sala potrebbe essere ancora peggio. Un fallimento lungo 5 anni. Dai referendum mai attuati e rimasti lettera morta, alle politiche disastrose sulle fonti rinnovabili a quelle sul risparmio energetico. Dal ripristino della rete dei navigli che si è limitata alla riapertura della Darsena, alle decine di milioni investiti nelle «vie d'acqua» che avrebbero dovuto portare in barca all'Expo i visitatori ma che si sono trasformate in canali buoni solo per raccogliere gli scoli dei padiglioni. E ancora. Dalle chiacchiere sul verde con una piantumazione che lascia a desiderare con alberi sani che oggi vengono tagliati per far posto ai cantieri della linea 5, alla riqualificazione delle periferie che non c'è stata, ai 9mila alloggi vuoti che il Comune non assegna perché non è stato ancora in grado di ristrutturare. Il modello Milano? Secondo il Manifesto non esiste. Il modello Milano è il Modello Expo di cui ancora non si conoscono bene i conti: cemento, asfalto, opere inutili ora da rottamare, laboratorio per il lavoro gratuito e nero, passerella per multinazionali e cibo spazzatura.
Una città prigioniera di Expo a cui non ci sarebbe alternativa, stretta in un «cerchio magico» che con la sinistra non avrebbe nulla a che spartire ma che rischia di farla esplodere. E allora? «a' la guerre come a' la guerre...»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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